il villaggio di cartone

di Ermanno Olmi

con Michael Lonsdale, Rutger Hauer

e con Massimo De Francovich, Alessandro Haber

  di Simona PACE

 

30/30

 

Pensiero che diventa atto, verbo che si fa corpo. Diabasis, appunto.

Il sottotitolo de Il villaggio di cartone, opera nuova del Maestro Olmi presentata fuori concorso alla Mostra, introduce ed emblematizza il senso profondo di un film che, scarno di retorica e pieno di lirica bellezza, racconta l'accoglienza e il coraggio di atti d'amore estremi.

Un anziano prete (Michael Londsale) assiste impotente allo spoglio inesorabile e doloroso della sua chiesa che, ormai inutile, viene dismessa, impoverita e privata di tutti gli addobbi, dei quadri, delle statue, di ogni oggetto sacro. L'ineluttabilità della contingenza, vagliata dal gelido ma intenso sguardo del freddo sacrestano, interpretato dallo straordinario Rutger Hauer, non potrà essere arginata dai pianti di dolore e dalle affrante preghiere del vecchio parroco: nulla fermerà il corso degli eventi, niente rallenterà l'andamento della storia.

Una gru viola le porte della chiesa, attraversa imponente la navata centrale e col suo lungo braccio meccanico stacca il Crocefisso appeso sopra l'altare. è questa una delle scene più toccanti e intense del film: le inquadrature del volto quasi piangente del Cristo che, appeso al braccio ruota su stesso, lamentevole, straziato, offeso e in ultimo sconfitto, caricano di suggestione e forza il senso di questa disarmante pellicola.

Alla fine di tutto, subita la brutale ma necessaria spoliazione, rimane un vuoto doloroso, le pareti nude, l'altare disadorno, un pietroso silenzio.

Ma quello sconforto, quel vuoto, sembrano paradossalmente suggerire una nuova e più forte   sacralità, una rinnovata forma di fede.

Di lì a poco infatti, quella stessa chiesa accoglierà un gruppo di clandestini in cerca di rifugio, uomini in miseria, soli, derelitti. Darà loro conforto, con panche e cartoni sarà una nuova casa, calda e sicura. Le candele garantiranno la luce, la fonte battesimale l'acqua.

Via i simulacri, gli idoli, le cerimonie, dentro gli uomini, la sofferenza, la carità.

"Troppo facile inginocchiarci di fronte a un crocifisso: Cristo ha pagato per noi 2000 anni fa, oggi quelli di fronte a cui bisogna inginocchiarsi sono quelli che soffrono, gli immigrati, i senza casa, i ragazzi persi nella droga, gli emarginati," afferma Ermanno Olmi.

Bandire le icone allora, e professare il vero messaggio evangelico. Smascherare le ambiguità delle parole, delle convenzioni, delle apparenze e compiere atti d'amore. Rintracciare Dio e consolidare la propria fede a partire dagli altri, dagli sguardi, dai sorrisi, dalle lacrime, dai gesti. In una società, la nostra, soffocata da falsi moralismi e inutili perbenismi, l'esemplare messaggio del Maestro Olmi acquista una forza e una rilevanza del tutto particolare e conquista il carattere d'urgenza.

Applausi e commozione, quindi, per un'opera senza tempo, umile e poetica ma straordinariamente grande.

 

09:09:2011