valzer con bashir

di Ari Folman

Animazione

 

 

di Marco GROSOLI

 

27/30

 

Qualcuno si ricorda ancora di Waking life? Qualche anno fa il presuntuoso Ruchard Linklater presentò a Venezia un presuntuoso filmetto girato in digitale e "ripitturato" in postproduzione in modo da assomigliare a un film di animazione. Il tutto condito con suggestioni pseudodickiane che tanto in là non andavano.
L'israeliano Ari Folman ritenta la stessa chiave formale. Stavolta il pretesto è la sua esperienza personale di ex soldato in forze in Libano nei bollenti anni '80, testimone (o qualcosa di più? Ma allora fino a che punto?) del massacro di Sabra e Chatila. Tutto il film si snoda tra interviste agli ex commilitoni e ricordi personali per riempire l'angosciante vuoto di memoria di Folman verso quegli eventi e la sua (eventuale) partecipazione).
Folman si lascia Linklater alle spalle di parecchie lunghezze. E si capisce presto il perché: il suo retroterra, quello ebraico, è quello che più di tutti ruota intorno all'impossibilità di rappresentare e visualizzare ciò che trascende (Dio, certo, ma anche, più tardi e per ragioni inverse, il massacro di Auschwitz). Chiaro dunque che lui sia più a proprio agio con una realtà che non si può far vedere se non con l'ultrafinzione dei disegni animati.
Per questo, a differenza di Linklater, Folman si fa strada in un tortuoso e complesso percorso concettuale tra filosofia della storia, psicologia, fenomenologia della memoria, teoria della rappresentabilità eccetera eccetera, concentrandosi però su un geniale styrumento figurativo: la luce. L'insistenza sui riflessi delle foglie degli alberi sui personaggi, sui cambiamenti luminosi da notte a giorno e su questo genere di sfumature, volge l'accento precisamente su quanto la rappresentazione (il disegno) può riprodurre meno di tutto. Passi il movimento, passi la somiglianza di cose e corpi, ma la luce no, quella non si tocca.
E invece, giustamente, Folman la tocca. Perché non si accontenta dell'ideologico bivio sogno/realtà, e li riannoda in modo che il traumatico svelamento finale (le immagini di repertorio "vere" di Sabra e Chatila che introducono i titoli di coda) non sia la semplice inversione/smentita di quanto ha preceduto, bensì il "lato B" del ricordo distorto (virato in toni lirico/onirici) che dell'evento aveva il protagonista. E la testa sbucante dalle macerie che ossessiona i ricordi romanzati dell'ex commilitone la troviamo altresì nelle immagini "vere" del repertorio.
La "realtà" non è allora un buco nero irrappresentabile, ma ciò che sta proprio lì, sotto alla coltre di "finzione immediata" che vi depone il nostro occhio irrimediabilmente condizionato da ricordi che non possiamo dominare. La sgranatura video del repertorio finale non è che l'apparenza intrecciata incestuosamente a quell'apparenza simile ma diversa che è il disegno animato. E il vero trauma è non potersi liberare dell'apparenza, nell'accorgersi che ogni istante è una "guerra" in cui l'istante stesso si scontra con l'essere un labile e illusorio velo (di Maya) nell'inesorabilità del tempo.
Sarà per questo che l'apparenza è vista e riconosciuta con paura nel nemico - nei libanesi ossessionati dall'immagine del leader Bashir che campeggia ovunque. L'iconoclastia ebraica, allora, si ferma indecisa e turbata sulla soglia dell'iconofila del cristianesimo, per eccellenza la religione dell'immagine.

 

20:05:2008

Valse avec Bachir
Regia di Ari Folman
Francia/Israele/Germania 2008, 87'
DUI: 09 gennaio 2009
Lucky Red
Animazione, Documentario