
Come spesso accade, i quesiti che seguono alle scoperte scientifiche sono,
in realtà, nient'altro che nuove versioni o aggiornamenti dei medesimi
dubbi che seguono l'uomo dagli inizi della civiltà.
Fino a che punto, ad esempio, il timore di una condanna è più forte ed
efficace dell'effettiva adesione alle regole del diritto umano? Potrebbe
essere formulato anche in questi termini l'interrogativo alla base dell'ultimo
film di Verhoeven, L'UOMO SENZA OMBRA perché, una volta smarriti gli obiettivi
del proprio progetto, il dottor Sebastian Cane (Kevin Bacon), divenuto
invisibile, giunge a credersi onnipotente e dunque immune a qualunque
regola. Il primo desiderio da realizzare? Naturalmente un sogno voyeuristico:
è così che il neo-uomo invisibile si introduce nell'appartamento di una
splendida dirimpettaia. Ma non si limita a spiarla.
Un tema talmente sfruttato, quello dell'uomo invisibile, da costituire
in pratica una sorta di filone, le cui origini si identificano con THE
INVISIBLE MAN (1933) di James Whale per giungere, in anni recenti, ad
un Carpenter minore come LE AVVENTURE DI UN UOMO INVISIBILE (1992). Tuttavia
Paul Verhoeven, in passato, aveva diretto pellicole mai troppo lontane
dai canoni del film di genere ma, nei casi più felici, forti dell'introduzione
di accorgimenti sufficienti ad elevarne il livello rispetto all'eccessiva
omologazione chiesta dalle majors. In particolare ROBOCOP, con la scusa
dello scheletro thriller, poneva in modo inedito il non originalissimo
quesito del rapporto uomo/macchina, puntando decisamente sul ruolo chiave
della sensibilità umana residua. Per questa ed altre ragioni era lecito
fidarsi ed aspettarsi molto da lui.
Eppure, ne L'UOMO SENZA OMBRA, il taglio del regista di BASIC INSTINCT
sembra piuttosto sfumato, nonostante il soggetto non fosse privo di aperture.
Oltre infatti all'episodio citato, non sono molte di più le spinte che
guidano l'agire di Cane, se non la vendetta per una storia d'amore conclusa
e la generica brama di potere. Carpenter, nel citato film su commissione,
aveva ad esempio puntato molto sulla profonda solitudine esistenziale
del proprio protagonista. Qui l'altra faccia dell'invisibilità pare quasi
non esistere, se non nell'impossibilità di specchiarsi o di uscire tranquillamente
dal posto di lavoro. Alla negazione di un contatto con il proprio corpo
o, per dirne una, all'inevitabile crisi di ogni rapporto sentimentale
non si fa cenno. Il personaggio di Kevin Bacon pare solamente impazzire,
schiavo non tanto di qualche effetto collaterale ma soprattutto della
smania di potere, che lo spinge oltre ogni limite. Ma tutto si ferma qui.
O meglio: ci sono gli effetti speciali, ma perché sprecare la possibilità
di un racconto più complesso (la mente corre a MATRIX) in nome dell'appeal
garantito da miracoli digitali mai visti prima ma, lasciati soli, piuttosto
freddi? Ormai il pubblico si aspetta anche più di ciò che i geni della
Industrial Light & Magic o altri loro colleghi possono dare: ci si
può anche stupire, ma dura poco. E il rammarico è ancora più grande alla
luce di quanto detto sopra sull'opera di Verhoeven.
Chiusa la prima parte, poi, il film diventa un comune action-thriller
nel quale, come sempre, i protagonisti non riescono a vedere l'assassino
o il nemico in genere finché questi non si avventa su di loro; il fatto
è che questa volta il cattivo è realmente impossibile da vedere. L'ultima
mezz'ora, piuttosto scontata nell'evoluzione e nella messa in scena, avrebbe
potuto tranquillamente essere diretta da un Dominic Sena qualunque o dal
John McTiernan in crisi che abbiamo visto dirigere IL 13° GUERRIERO. Un
peccato, peraltro spesso noioso.
Voto: 25/30
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