L'UOMO SENZA OMBRA
di Paul Verhoeven
con Kevin Bacon, Elisabeth Shue e William Devane



Come spesso accade, i quesiti che seguono alle scoperte scientifiche sono, in realtà, nient'altro che nuove versioni o aggiornamenti dei medesimi dubbi che seguono l'uomo dagli inizi della civiltà.
Fino a che punto, ad esempio, il timore di una condanna è più forte ed efficace dell'effettiva adesione alle regole del diritto umano? Potrebbe essere formulato anche in questi termini l'interrogativo alla base dell'ultimo film di Verhoeven, L'UOMO SENZA OMBRA perché, una volta smarriti gli obiettivi del proprio progetto, il dottor Sebastian Cane (Kevin Bacon), divenuto invisibile, giunge a credersi onnipotente e dunque immune a qualunque regola. Il primo desiderio da realizzare? Naturalmente un sogno voyeuristico: è così che il neo-uomo invisibile si introduce nell'appartamento di una splendida dirimpettaia. Ma non si limita a spiarla.
Un tema talmente sfruttato, quello dell'uomo invisibile, da costituire in pratica una sorta di filone, le cui origini si identificano con THE INVISIBLE MAN (1933) di James Whale per giungere, in anni recenti, ad un Carpenter minore come LE AVVENTURE DI UN UOMO INVISIBILE (1992). Tuttavia Paul Verhoeven, in passato, aveva diretto pellicole mai troppo lontane dai canoni del film di genere ma, nei casi più felici, forti dell'introduzione di accorgimenti sufficienti ad elevarne il livello rispetto all'eccessiva omologazione chiesta dalle majors. In particolare ROBOCOP, con la scusa dello scheletro thriller, poneva in modo inedito il non originalissimo quesito del rapporto uomo/macchina, puntando decisamente sul ruolo chiave della sensibilità umana residua. Per questa ed altre ragioni era lecito fidarsi ed aspettarsi molto da lui.
Eppure, ne L'UOMO SENZA OMBRA, il taglio del regista di BASIC INSTINCT sembra piuttosto sfumato, nonostante il soggetto non fosse privo di aperture. Oltre infatti all'episodio citato, non sono molte di più le spinte che guidano l'agire di Cane, se non la vendetta per una storia d'amore conclusa e la generica brama di potere. Carpenter, nel citato film su commissione, aveva ad esempio puntato molto sulla profonda solitudine esistenziale del proprio protagonista. Qui l'altra faccia dell'invisibilità pare quasi non esistere, se non nell'impossibilità di specchiarsi o di uscire tranquillamente dal posto di lavoro. Alla negazione di un contatto con il proprio corpo o, per dirne una, all'inevitabile crisi di ogni rapporto sentimentale non si fa cenno. Il personaggio di Kevin Bacon pare solamente impazzire, schiavo non tanto di qualche effetto collaterale ma soprattutto della smania di potere, che lo spinge oltre ogni limite. Ma tutto si ferma qui. O meglio: ci sono gli effetti speciali, ma perché sprecare la possibilità di un racconto più complesso (la mente corre a MATRIX) in nome dell'appeal garantito da miracoli digitali mai visti prima ma, lasciati soli, piuttosto freddi? Ormai il pubblico si aspetta anche più di ciò che i geni della Industrial Light & Magic o altri loro colleghi possono dare: ci si può anche stupire, ma dura poco. E il rammarico è ancora più grande alla luce di quanto detto sopra sull'opera di Verhoeven.
Chiusa la prima parte, poi, il film diventa un comune action-thriller nel quale, come sempre, i protagonisti non riescono a vedere l'assassino o il nemico in genere finché questi non si avventa su di loro; il fatto è che questa volta il cattivo è realmente impossibile da vedere. L'ultima mezz'ora, piuttosto scontata nell'evoluzione e nella messa in scena, avrebbe potuto tranquillamente essere diretta da un Dominic Sena qualunque o dal John McTiernan in crisi che abbiamo visto dirigere IL 13° GUERRIERO. Un peccato, peraltro spesso noioso.

Voto: 25/30

Andrea DE CANDIDO
19 - 08 - 01


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