
Quello che certamente non manca a Sally Potter è la fiducia in se stessa,
nelle sue idee, ad ogni costo. Chi ne conosce l'opera, da ORLANDO a LEZIONI
DI TANGO, sa di una regista che pare non possedere alcun senso (cinematografico)
del pudore, inteso come capacità di dominarsi. Intesi: non che questo
sia un male. ORLANDO (1992), a modo suo, è rimasto un film unico: estremo
per la scelta di portare quella Virginia Woolf sullo schermo, per il/la
protagonista, per Tilda Swinton e per la quasi svergognata adesione ai
canoni del cinema di Peter Greenaway. LEZIONI DI TANGO poi (1997), giunto
ben cinque anni dopo, è senza dubbio un'altra pellicola assolutamente
sui generis, con la quale la regista - che ne è anche la star assoluta
- ha candidamente portato sullo schermo la propria passione per il ballo
argentino e per Pablo Veron; una scelta che ha irritato più di qualcuno.
Fatto sta che, almeno a nostro avviso, pur in tali limiti narrativi, quel
film possedeva - ben oltre il "fastidio" intellettuale ed alcune evidenti
pecche - un fascino raro, ancor più intenso se lo si pensa in fondo generato
da un'assoluta mancanza di sviluppo narrativo.
Ora Sally Potter è tornata con un'altra opera che, già alla presentazione
in concorso a Venezia, non ha mancato di innervosire i critici. In breve
sintesi la vicenda è quella di Suzie (Christina Ricci), un'ebrea russa
in fuga dai pogrom nel '27, il cui sogno americano coincide con il ricongiungimento
con il padre (l'uomo che piange, appunto). Prima che ciò avvenga farà
tappa in Inghilterra e a Parigi, dove con Lola (Cate Blanchett) diverrà
comparsa nella compagnia d'opera di Dante Dominio, potente voce italiana
con la faccia sghemba di John Turturro. Una delle accuse più frequenti
al film concerneva la banalità della messa in scena e l'ingenuità delle
situazioni: ciò è pressoché indubbio, e alcune cose sfiorano effettivamente
l'umorismo involontario (l'ebreo russo padre della Ricci si chiama… Abramovich!).
Nonostante ciò facciamo fatica ad accusare la Potter di scarsa cultura,
anche cinematografica, o perfino di un eccessivo candore. Quella che ci
pare invece lampante è, ancora una volta, la sfacciataggine di un'artista
che ha scelto deliberatamente - ne siamo quasi sicuri - la strada del
dejà vu, del facile melodramma, dell'approccio schematico alla
storia e così via. Sono troppe, infatti, le cose altrimenti imperdonabili,
alle quali, anche alla luce della citata filmografia potteriana, non vogliamo
dare più di tanto credito: la neve che cade sempre sui poveri profughi
in fuga; l'enfasi delle bombe, in lontananza, ad annunciare l'incombenza
della guerra; l'assordante frastuono dei tacchi tedeschi in marcia su
Parigi; l'associazione italiano anni 40-fascita (in questo caso il personaggio
di Turturro), e la generale meccanicità narrativa di molte situazioni
(quella della deportazione della padrona di casa su tutte). Non solo:
la Potter sembra aver fatto man bassa di tutta una serie di circostanze
e tipi cinematografici abbastanza di moda, mescolandole insieme non senza
un certo calcolo. Il tema dei drammi singoli incorniciati dal dramma umano
della Seconda Guerra Mondiale è diventato, in anni recentissimi ma anche
con risultati assai altalenanti, quasi un format (pensiamo a SALVATE IL
SOLDATO RYAN, LA SOTTILE LINEA ROSSA, JAKOB IL BUGIARDO, LA VITA E' BELLA
e altri ancora), per non parlare degli zingari: dopo Kusturica sembra
che non se ne possa fare a meno, e naturalmente qui, oltre ad essere perseguitati,
sono anche gli unici veramente liberi, la cui musica - naturalmente improvvisata
- è un'arma più forte di qualsiasi repressione. Lo tzigano che si innamora
di Suzie è interpretato da uno degli attori più intelligenti e versatili
delle ultime generazioni, Johnny Deep, ma la regista ne ha fatto quasi
una macchietta: cicatrice sul volto, immancabile dente d'oro pallido e
perfino fiabesco cavallo bianco, i cui eleganti movimenti sono spesso
ripresi al ralenti.
Ma non è tutto: al di là forse del ruolo di Christina Ricci, tutti gli
altri personaggi sembrano scritti addosso ai loro interpreti ed ai caratteri
che più di recente questi hanno incarnato. Forse non è cosa nota al grande
pubblico, ma il ruolo che da regista Turturro ha ritagliato per se stesso
in ILLUMINATA (1998) non è poi così diverso da quello di Dante Dominio;
una Cate Blanchett (comunque eccezionale e di una bellezza disarmante,
la cui spendida interpretazione perde molto col doppiaggio) di questo
tenore è parente prossima di quella de IL TALENTO DI MR. RIPLEY, mentre
Johnny Deep bello e dannato, ma più credibile, si è quantomeno già visto
in THE BRAVE. Infine, seppur velati, la Potter ha inserito alcuni dei
suoi marchi di fabbrica, come le variopinte scene in esterni i cui protagonisti
principali sono sgargianti e barocchi costumi possibilmente agitati dal
vento, le corse in carrellata (tutto già visto in LEZIONI DI TANGO) e
perfino i virtuosismi danzanti (tanto che il ballerino zingaro è nientemeno
che l'amato Pablo Veron…). Ma allora tutto ciò che scopo avrebbe? E' francamente
difficile definirlo, anche se ci è parso di cogliere in gran parte del
pubblico in sala una certa ammirazione per la storia, ancora più forte
in quanto narrata in modo schematico: che la Potter abbia scelto di andare
incontro al grande pubblico, non così uso a simili storie e magari poco
attento ai meccanismi della messinscena? Che la scelta di un cast all-star
debba essere letto in questa direzione?
E' anche possibile che, date le premesse, la Potter avesse solo voglia
di rievocare gli anni della guerra, il look platinato dei personaggi alla
Lola, la Parigi anni 40, o magari spiegare la Storia ai bambini…
Voto: 23/30
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