
Non venga il sospetto che il patriottismo
yankee - non globalmente statunitense, come sostiene qualcuno a proposito
di WINDTALKERS - sia stato riacceso esclusivamente dall'11 settembre e
conseguenti ridefinizioni dei campi di battaglia virtuali sui quali continuare
a guerreggiare per/contro il mondo ostinatamente, e fuori luogo comune,
no global: film dove il baseball o il football servono da esca per lo
spettatore della provincia americana, intesa entro e fuori i confini di
una nazione, che deve risollevarsi dalla mediocritas di una vita di non-successi,
ne abbiamo visti a decine e sempre strutturati attorno alla solidità
arborea dei soliti interpreti mascellati, adeguatamente invecchiati, ma
ancora incazzati col mondo.
Vengono in mente Kevin Kostner, Don Johnson e, qui presente, Dennis Quaid:
di arboreo hanno, forse, il fisico, ma anche la vitalità e la ricchezza
d'espressione.
Non lontani parenti dell'imbalsamatissimo Nick Cage, amato o odiato a
seconda dei casi (?), raccolgono attorno a sé le conosciutissime
frustrazioni di ragazzini sognanti o depressi, con la funzione di doverle
ribaltare comunque in concreta soddisfazione professionale o gioia transitoria,
trasformando in oro ciò che non lo è.
Neanche loro sono, o erano, oro: il classico incidente fisico o inciampo
di vita li ha momentaneamente allontanati dalla febbre della ricerca di
un riscatto e ora, poiché un qualche produttore cinematografico
lo richiede, devono uscire dalla rispettabilissima nicchia mentale del
"ma chi me lo fa fare?" e rimettersi a lanciar palline quando
- almeno nella realtà anagrafica - vanno per i cinquanta, mentre
il film li pretende al massimo 38enni e li mette in crisi perché
non usa il lifting informatico di qualche software antietà.
La vicenda è stata in pratica già raccontata: Quaid torna
ad allenare dopo aver abbandonato i campi da gioco e porta ai playoff
un mucchio selvaggio, correttamente bicolore, di imberbi players.
Di regola, in questi casi, affondi nella poltrona e giochi con te stesso
ad anticipare battute situazioni e musiche - mio dio, le musiche! - ma
qui siamo veramente all'osso, roba da elenco pedissequo di topoi classici
di uno script buono per i manuali da primo anno di scuola di cinema.
Un esempio: il coach, fino a ieri buono per la C1, deve necessariamente
essere richiesto dai grandi club, dopo le vittorie con la sua cricca di
boys agguerriti ed essere posto di fronte al dilemma se lasciarli o rinunciare
al nuovo contratto/nuova vita, etc.: ve lo immaginate un Cosmi di qualche
anno fa rifiutare le offerte del Barcellona o del Manchester? Mai nella
vita, ovviamente: ma, si sa, Hollywood, anche quella più semplice
e sottotraccia, è comunque BIGGER THAN LIFE.
Regia pre-scolastica, tutta campi lunghi sulla poesia arsa dei campi da
baseball, terra e erba a chili visuali se non inquadrature addensate sul
broncio quaidiano, agile e scattante quanto un cavallo da corsa ormai
pronto per la carriera di stallone.
Ma forse a Hollywood si comincia dalla fine...
Voto: 21/30
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