Un été brûlant

di Philippe Garrel

con Monica Bellucci, Louis Garrel

e con Céline Sallette, Jérôme Robart

  di Marco Grosoli

 

27/30

 

Dopo Les amants reguliers (2005), i film di Garrel sono diventati una specie di “riepilogo” di tutto il suo cinema precedente, in cui l'autobiografismo palese di quest'ultimo viene “reindossato” dal figlio di Garrel (Louis). Il che è perfettamente coerente con la parabola sovente disegnata dalle trame dei suoi film: il circolo vizioso dell'ego e dell'oggetto del desiderio che si fagocitano a vicenda viene spezzato, o mandato fuori fase, appunto dalla nascita del Figlio.

Nel suo ultimo, splendido La frontière de l'aube, un tizio al bancone di un bar, provocatoriamente, afferma che gli ebrei hanno rotto le scatole e che è troppo facile e conveniente proclamarsi ebrei. E Louis Garrel, sprezzante: “Beh, allora in questo caso io sono ebreo”, e se ne va.

Un été brulant può ragionevolmente considerarsi una sorta di amplificazione di questa scheggia del film precedente. È (come molti film del regista francese) la storia dell'incrocio tra due “linee”: una che si autodistrugge (il suicida pittore protagonista, interpretato da Louis Garrel e imprigionato nell'amour fou verso una Monica Belluci irrimediabilmente fuori luogo) e l'altra che “si salva” (l'amico aspirante attore che lo va a trovare nella sua nuova casa romana). Queste due linee non cessano un istante di intersecarsi, complicarsi e ribaltarsi l'una nell'altra; nel frattempo, traspare subito dietro di esse quello che è il vero, inatteso, a proprio modo audace messaggio politico del film. Sì, perché le molte (più del solito) piccole scene di imbarazzante vacuità “bobo” (bohémien-bourgeois), come quando i due protagonisti salutano una retata della polizia sotto la sopraelevata parigina con un facile “che merda Sarkozy”, non sono un indesiderato contorno di cui fare a meno, ma il cuore stesso del film. L'inanità “bobo”, la gratuità ottusa dell'essere alternativi a tutti i costi senza pagare il conto, da fastidioso vizio di giovanotti riccastri viene elevato a codice morale, a paradossale strumento di resistenza. E, checché se ne dica, ci vuole un bel coraggio.

In altre parole, nell'ennesimo incrociarsi (in Garrel) di “colui che si perde” e “colui che si salva”, ogni forma di trasgressione finisce per essere meramente velleitaria, inetta, avente come unico risultato quello di sfociare nel vivere più ordinariamente possibile. È come se Garrel ci dicesse: così sia, se la trasgressione è condannata a fallire ma una vita normale è comunque impossibile farla, allora indulgiamo pure nella finta trasgressione “bobo”, non per trasgredire, ma per approdare alle rive ormai anacronistiche della normalità.

È questo che bisogna cercare, se ci si vuole avventurare nel solito fondersi insieme di cinema (anche qui c'è il set di due film-nel-film), amore e politica intessuto da Garrel e dal suo fido dialoghista Marc Cholodenko. Questa, la differenza tra l'amore che si autodistrugge e quello che fiorisce. Tra il perire scontrando il proprio sguardo con lo sguardo di un altro (il regista che dirige la Bellucci nel suo film-nel-film) e trovare l'amore in qualcuno che, come se stessi, è ugualmente prigioniero nello sguardo di un altro (la coppia che si salva e che procrea, conosciutasi sul set di un film, guardacaso, sulla Resistenza).

Questa volta, Garrel rimane un po' imprigionato in una scrittura forse troppo fitta, troppo poco incline a lasciarlo libero di scatenare la sua inarrivabile vena contemplativa, che si accontenta di pochi mozziconi di racconto lasciati macerare al sole per concentrarsi invece sull'irripetibilità della presenza dei corpi qui-e-ora (non l'aiuta Monica Bellucci, attrice lontana dal tipo femminile garreliano). Ma la sua paradossale intenzione politica merita rispetto e attenzione, anche se può irritare. Merita, insomma, che l'occhio si adagi su questi brandelli di presente che sembrano costantemente stupirsi di essersi sfuggiti alla morte: è la via garreliana alla “resurrezione”, ed è anche la lezione impartita dal nonno del protagonista (vero padre di Garrel e vero resistente durante la guerra, morto poco dopo le riprese) nell'apparizione finale che in un colpo solo risolve e compie tutto ciò che il film sembrava aver lasciato a metà scena dopo scena.

Ma è la vita stessa ad essere costantemente a metà, orfana dell'altra sua parte che si autodistrugge...

 

03:09:2011