
Divorziato, un difficile rapporto con l'ex-moglie (Scott Thomas) e con
il figlio (Christensen), senza lavoro e malato di cancro l'eccentrico
architetto George Monroe (Kline) decide di dedicare gli ultimi mesi che
gli restano da vivere per costruire con le proprie mani la casa che ha
sempre sognato e cercare nel contempo di riconquistare l'affetto
del figlio adolescente ribelle. Non sarà facile portare a termine
la missione anche perché ci si metteranno pure i vicini di casa, che non
lo vedono di buon'occhio, a mettergli i bastoni tra le ruote. La fine
è nota da subito, così come la morale, in questa apologia di quel che
resta del sogno americano in cerca di riscatto dopo il cinismo di AMERICAN
BEAUTY. Parte con ambizioni metaforiche (la cognizione della fine imminente
come occasione per una rinascita interiore) prosegue come dramma generazionale
incentrato sullo scontro tra George e il figlio (uno sballato che si prostituisce
per pagarsi l'erba, ma dietro la scorza da duro...), dosa con canonica
prevedibilità sorrisi e lacrime, retorica nostalgica del passato e buoni
sentimenti, termina nella melassa all'insegna di uno sfacciato "vogliamoci
tutti bene". Tanta carne al fuoco, che rimanda inevitabilmente al film
di Mendes nel tentativo di rappresentare con spirito caustico la provincia
americana delle villette anonime, le lolite, gli adolescenti in lotta
col mondo, l'infelicità diffusa degli adulti che hanno tutti - nessuno
escluso - qualche scheletro nascosto nell'armadio. Tutto ruota attorno
all'anacronistico sogno di un looser individualista, quella casa
di fronte al Pacifico da costruire al posto della catapecchia in cui ha
vissuto con moglie e figlio prima del divorzio. George Monroe è un cocciuto
idealista capace di perdere il lavoro perché insiste a voler fare l'architetto
con i plastici in scala anziché utilizzare il computer, che nella prima
parte rimedia solo ostilità e sputi in faccia mentre nella seconda si
trasforma in una specie di apostolo dei veri valori, in grado di accattivarsi
le simpatie di tutto il quartiere, che ha sempre le parole giuste anche
nei momenti più delicati e non rifiuta a nessuno abbracci e pillole di
saggezza. E in un'America con la coscienza evidentemente un po' sporca,
che non accetta i perdenti ma vuole credere ancora nei sogni, alla fine
tutte le tessere del puzzle devono andare al loro posto, i torti saranno
espiati, il male perdonato, i vecchi rancori dimenticati; la morte di
Monroe diventa così il giusto contrappasso per la redenzione della varia
umanità che gli è stata accanto. Come in un film per la TV qui tutto è
fin troppo semplicistico e programmatico - dall'ostentazione dei "panni
sporchi" fino alle consolazioni - ma a differenza di quello che ci propina
la televisione qui ci sono anche attori veri e vedere due professionisti
come Kevin Kline e Kristin Scott Thomas dare il meglio di se può valere
ancora, nonostante tutto, il prezzo del biglietto.
Voto: 21/30
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