TWO SISTERS
di Kim Jee-woon
Con: Im Soo-jung, Moon Geun-young, Yeom Jeong-a, Kim Kab-su

di Emilio RANZATO


Le due affiatate sorelle Su-mi (Im) e Su-yeon (Moon), trascorso un periodo in una clinica psichiatrica in seguito al suicidio della madre, ritornano a vivere con l’inetto padre (Kim) e la nuova moglie di lui (Yeom). La convivenza si dimostra subito molto complicata e le tensioni fra figlie e matrigna non tardano ad emergere in modo drammatico. Inoltre Su-mi, delle due sorelle la più intraprendente e protettiva, è afflitta da incubi e allucinazioni: scavando a fondo nella propria mente permetterà al passato di riaffiorare, e scoprirà che niente, intorno a lei, è come le era apparso.
Regista di culto in patria ma ancora sconosciuto da noi, il coreano Kim riprende una tradizionale fiaba dark del proprio paese e la fonde con gli stilemi tipici del nuovo horror orientale (ritmo lento ed ipnotico, fanciulle pallide e striscianti, effetti sonori da infarto). Ma a differenza di Nakata e Shimizu, maestri del brivido, Kim si dimostra regista a tutto tondo e i suoi sono dei veri attori (molto brave le ragazze, ma la Yeom spicca rivelando la stoffa della mattatrice), e allora tutto quell’armamentario orrorifico divenuto già trito e inserito unicamente per permettere a Kim di sfondare in occidente, finisce solo per appesantire un’opera in altri momenti assolutamente convincente, che fa dei rapporti familiari il suo fulcro e il suo motivo d’inquietudine. Le ombre che si aggirano per casa, le figure che voltano furtivamente un angolo: la convivenza è anche questo, e le persone più vicine possono trasformarsi in estranei da un momento all’altro. Un’atmosfera da pentola a pressione che ricorda gli appartamenti di Lynch (da cui Kim riprende anche l’uso del suono); o, se si vuole, una specie di Gente comune in versione delirante. E dato che di delirio, di genuino delirio si tratta, al film si perdonano alcuni squilibri piuttosto evidenti: la sovrapposizione di colpi di scena, la mancanza di chiarezza in alcuni passaggi fondamentali della sceneggiatura, un paio di sequenze macabre ma un pochino gratuite. Come capita spesso nei film di questo genere, poi, il personaggio maschile di turno è quasi nullo, ma di contro si può pacificamente affermare che poche altre filmografie hanno dato tanta importanza alla figura femminile. Geniale l’uso espressivo della carta da parati per sottolineare il senso di follia latente, forse ispirato dal noto racconto del terrore "La carta da parati gialla" della scrittrice americana d’inizio novecento Charlotte Perkins Gilman, in cui, fra l’altro, già si parlava di donne striscianti.
Kim fatica ad inserirsi nelle maglie del film di genere, ma allo stesso tempo lo eleva mettendolo a disposizione di tematiche più profonde e mezzi espressivi più raffinati. La Dreamworks ha già acquistato i diritti per un remake. Ma gli americani gli horror non li sanno più fare.

 

Voto: 26/30

10.08.2004

 


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