TUTTO IL BENE DEL MONDO

di Alejandro Agresti
Con: Ulises Dumont, Julieta Cardinali, Monica Galan, Carlos Roffe

di Luciana APICELLA

 

Tre donne viaggiano su un autobus, da Buenos Aires ad un paesino sul mare, mille anime nel sud dell’argentina. Una madre, le due figlie: la prima poco più che bambina, la seconda una giovane che non ha mai conosciuto il padre. Il viaggio che stanno compiendo è proprio alla ricerca di quel padre, che credevano entrambe morto: l’uomo ha aperto una panetteria, poco si sa del suo oscuro passato che egli stesso più che occultare agli altri nasconde in primo luogo a se stesso. L’arrivo delle tre donne lo costringerà a uscire dalla nebbia entro la quale si è avvolto, ad abbandonare uno stato di sospensione anestetizzante che, se lo mette al riparo dal male del passato, lo inchioda pure ad una non - vita, ad un’insensata e immobile sequela di gesti e riti quotidiani, certi e tangibili ma privi di ogni afflato vitale.
Sceglie una prospettiva insolita Agresti per parlare del dramma della dittatura fascista in Argentina. L’idea è buona anche se il risultato non ci pare dei migliori, soprattutto se paragonato all’intensità viscerale e straziante di altre pellicole sul medesimo argomento, un titolo su tutti lo straordinario Garage Olimpo. A differenza del film di Bechis si sceglie la distanza temporale, una distanza che però non basta a elaborare il lutto, a sciogliere il nodo di dolore del passato, della prigionia, degli orrori, delle migliaia di volti, storie, esistenze cancellate dalle epurazioni del regime militare. Cholo ha scelto di dimenticare il proprio passato di militante comunista, di perseguitato politico inventandosene un altro e finendo per crederci, per poter sopravvivere in qualche modo. Proprio come quel suo paese martoriato, di cui diventa in qualche maniera emblema, che per necessità di voltare pagina, di raggiungere la pace e la riconciliazione nazionale ha accettato per i propri carnefici la via dell’assoluzione (basti pensare a una legge come quella dell’”obbedienza dovuta” che cancellava le responsabilità dei militari fino al grado di colonnello poiché considerati semplici esecutori di ordini). Ma il passato non si lascia cancellare, e nel caso di Cholo torna nella concretezza di due corpi, quello di Isabella, compagna di vita e di lotta politica, e di una figlia nata da quell’amore, Sonia, che egli non ha mai conosciuta. Le inquadrature sulle due donne sono fin dalle prime scene del film filtrate da schermi, da vetri opachi o deformanti, da vetrine, riflesse in specchi, a sottolineare insistentemente le resistenze di Cholo ad accettarne l’esistere reale e pulsante, la sua paura di disseppellire un passato che potrebbe senza ritorno travolgere il precario equilibrio che si è faticosamente costruito.
Quello che ci pare manchi, nel film di Agresti, è una certa dose di delicatezza. Pare che il regista cada nella trappola della commozione ad ogni costo, nonostante ribadisca più volte (presentando il film all’anteprima e in seguito alla conferenza stampa) la sua ripugnanza per la lacrima facile. La stessa colonna sonora sottolinea in maniera eccessiva e un po’ forzosa, con trionfi di archi e melodie struggenti, ogni momento del film, con un risultato a tratti irritante. Belle alcune figure, come quella di Mario, amico devoto di Cholo, con la sua acutezza di sentire dissimulata sotto modi da semplice paesano e col suo affetto sincero. Belli i primi piani che scrutano negli occhi il segreto di esistenze che non paiono stanche, nonostante tutto, di vivere e di amare. Nonostante si siano dovuti abbandonare per strada quegli ideali per i quali soltanto poteva valere la pena di vivere, di morire. Ma, se non un mondo migliore, si può sempre provare a costruire un mondo meno peggiore (questo il titolo originale del film), nella concretezza del presente, nel recupero degli affetti, nella quotidiana sfida alla paura di vivere e di soffrire. Se ci si fosse fermati a questo senza inserti aggravanti e volutamente toccanti (come le lettere di una deportata ebrea che Sonia ritrova per caso all’interno dell’appartamento nel quale le donne alloggiano) o scene piuttosto banali (Sonia che si ribella ai pettegolezzi di paese della vecchia affittuaria provocando nella donna un immediato rivedimento) ne sarebbe venuto fuori un film migliore.

Voto: 23/30

23:11:2004


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