
Tre donne
viaggiano su un autobus, da Buenos Aires ad un paesino sul mare, mille anime
nel sud dell’argentina. Una madre, le due figlie: la prima poco più che
bambina, la seconda una giovane che non ha mai conosciuto il padre. Il
viaggio che stanno compiendo è proprio alla ricerca di quel padre, che
credevano entrambe morto: l’uomo ha aperto una panetteria, poco si sa del
suo oscuro passato che egli stesso più che occultare agli altri nasconde in
primo luogo a se stesso. L’arrivo delle tre donne lo costringerà a uscire
dalla nebbia entro la quale si è avvolto, ad abbandonare uno stato di
sospensione anestetizzante che, se lo mette al riparo dal male del passato,
lo inchioda pure ad una non - vita, ad un’insensata e immobile sequela di
gesti e riti quotidiani, certi e tangibili ma privi di ogni afflato vitale.
Sceglie una prospettiva insolita Agresti per parlare del dramma della
dittatura fascista in Argentina. L’idea è buona anche se il risultato non ci
pare dei migliori, soprattutto se paragonato all’intensità viscerale e
straziante di altre pellicole sul medesimo argomento, un titolo su tutti lo
straordinario Garage Olimpo. A differenza del film di Bechis si sceglie la
distanza temporale, una distanza che però non basta a elaborare il lutto, a
sciogliere il nodo di dolore del passato, della prigionia, degli orrori,
delle migliaia di volti, storie, esistenze cancellate dalle epurazioni del
regime militare. Cholo ha scelto di dimenticare il proprio passato di
militante comunista, di perseguitato politico inventandosene un altro e
finendo per crederci, per poter sopravvivere in qualche modo. Proprio come
quel suo paese martoriato, di cui diventa in qualche maniera emblema, che
per necessità di voltare pagina, di raggiungere la pace e la riconciliazione
nazionale ha accettato per i propri carnefici la via dell’assoluzione (basti pensare a una legge come quella dell’”obbedienza dovuta” che
cancellava le responsabilità dei militari fino al grado di colonnello poiché
considerati semplici esecutori di ordini). Ma il passato non si lascia
cancellare, e nel caso di Cholo torna nella concretezza di due corpi, quello
di Isabella, compagna di vita e di lotta politica, e di una figlia nata da
quell’amore, Sonia, che egli non ha mai conosciuta. Le inquadrature sulle
due donne sono fin dalle prime scene del film filtrate da schermi, da vetri
opachi o deformanti, da vetrine, riflesse in specchi, a sottolineare
insistentemente le resistenze di Cholo ad accettarne l’esistere reale e
pulsante, la sua paura di disseppellire un passato che potrebbe senza
ritorno travolgere il precario equilibrio che si è faticosamente costruito.
Quello che ci pare manchi, nel film di Agresti, è una certa dose di
delicatezza. Pare che il regista cada nella trappola della commozione ad
ogni costo, nonostante ribadisca più volte (presentando il film
all’anteprima e in seguito alla conferenza stampa) la sua ripugnanza per la
lacrima facile. La stessa colonna sonora sottolinea in maniera eccessiva e
un po’ forzosa, con trionfi di archi e melodie struggenti, ogni momento del
film, con un risultato a tratti irritante. Belle alcune figure, come quella
di Mario, amico devoto di Cholo, con la sua acutezza di sentire dissimulata
sotto modi da semplice paesano e col suo affetto sincero. Belli i primi
piani che scrutano negli occhi il segreto di esistenze che non paiono
stanche, nonostante tutto, di vivere e di amare. Nonostante si siano dovuti
abbandonare per strada quegli ideali per i quali soltanto poteva valere la
pena di vivere, di morire. Ma, se non un mondo migliore, si può sempre
provare a costruire un mondo meno peggiore (questo il titolo originale del
film), nella concretezza del presente, nel recupero degli affetti, nella
quotidiana sfida alla paura di vivere e di soffrire. Se ci si fosse fermati
a questo senza inserti aggravanti e volutamente toccanti (come le lettere
di una deportata ebrea che Sonia ritrova per caso all’interno
dell’appartamento nel quale le donne alloggiano) o scene piuttosto banali (Sonia che si ribella ai pettegolezzi di paese della vecchia affittuaria
provocando nella donna un immediato rivedimento) ne sarebbe venuto fuori un
film migliore.
Voto: 23/30
23:11:2004 |