
Val (Tautou) è una giovanissima attrice
francese che approda a New York (neanche fossero i tempi del New American
Cinema) per diventare una star del grande schermo, e pur di realizzare il
suo sogno accetta ogni tipo di lavoro e passa le notti nel giardino di un
condominio (?!). Qui farà la conoscenza di uno sceneggiatore in piena crisi
creativa (Theroux); sarà amore? Non importa, la voglia di scoprirlo passa in
fretta.
Di recente è capitato di imbatterci in più o meno riuscite rivisitazioni
della commedia romantica, di quella sofisticata anni trenta e quaranta alla
Katharine Hepburn con Prima ti
sposo, poi ti rovino o di quella più rassicurante e meno tagliente
degli anni cinquanta e sessanta alla Doris Day con
Down with love, e magari
abbiamo assistito allo spettacolo spensierati, più o meno divertiti ma di
certo privi di preoccupazioni. Ciò che non sapevamo, o che non volevamo
sapere, è che quei due film rappresentavano altrettanti, dolenti campanelli
d’allarme.
Non sempre, ma spesso, la rivisitazione di un genere ha infatti lo stesso
valore di un premio alla carriera. è
la celebrazione di qualcosa che sta morendo. E se taluni canti funebri degli
ultimi tempi - per altro spesso talmente struggenti e vivaci da lasciar
sperare in una tarda ma provvidenziale araba fenice:
Era mio padre e American
beauty per il gangster-movie e il drammone familiare anni ottanta,
L’uomo che non c’era per il
noir, Chicago per il
musical, Dead Man per
il western, Kill Bill per i
film di kung-fu e mille altri sottogeneri - se certi canti funebri,
dicevamo, non ci impensieriscono più di tanto, perchè riguardanti dimensioni
ormai lontane dalle nostre sensibilità, per la commedia romantica è
difficile non provare un vago senso d’angoscia. Quanto meno per il semplice
fatto che la realtà che essa è destinata a rappresentare, né più né meno di
una storia d’amore, o meglio d’innamoramento, grazie al cielo non si è
ancora consumata.
Non è facile, allora, capire quali fattori abbiano creato le condizioni per
la nascita di film come Tu mi ami.
Film che riprendono sin troppo rispettosamente i canoni della commedia per
poi farli degenerare in forme moleste. Nell’opera che segna il ritorno
italiano di Kollek dopo molti anni dal bruttissimo
Forever Lulù, la guerra dei
sessi si tramuta infatti in misoginia, le battute a sfondo sessuale
diventano volgarità, l’intreccio ingarbugliato oscilla fra il prevedibile e
l’intollerabilmente inverosimile. E per quanto riguarda la complementarietà
dei protagonisti, e l’indispensabile brillantezza dei personaggi secondari,
ci dobbiamo accontentare di una Tautou che impersona per l’ennesima volta se
non proprio la favolosa Amélie una sua parente molto stretta, un Theroux
comprensibilmente spaesato per essere passato nel giro di due anni da
un’opera epocale come Mulholland
Drive alla serie zeta, e una Jennifer Tilly che si impegna a fondo ma
cozza inesorabilmente contro gli angusti confini del personaggio più
fastidioso che su due piedi riusciremmo a ricordare. Da evitare.
Voto: 06/30
07.05.2004
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