
Presentazione di A Snake of June, Alberto Barbera, Dario Tomasi, Tsukamoto
Shinya.
Sono le 20.30 di venerdì 21 e la gente riempie la sala del Massimo
all’inverosimile, arrivata con un buon anticipo e, nonostante ciò,
costretta a sedersi per terra non si lamenta e all’arrivo di Tsukamoto
Shinya applaude e poi tace, che niente disturbi l’intervista introdotta
da Alberto Barbera e condotta da Dario Tomasi.
E Tsukamoto arriva con il solito aplomb, vestito di nero e con un sorrisetto
che tira fuori ogni tanto mentre risponde, sempre ironico, alle domande
di Tomasi, al suo fianco l’interprete, una signora che non deve avere
molta dimestichezza con il cinema cyber-punk. Si inizia, dunque, con una
domanda su Tetsuo che è a buon diritto considerato il manifesto
del cyber-punk e citato in tutti i testi che trattano l’argomento, Tsukamoto
risponde che in realtà la sua intenzione era quella di girare un
porno e che per farlo si era chiesto come avrebbe potuto rendere ancora
più erotico il corpo umano, il corpo è morbido e descriverlo
come duro l’avrebbe reso più erotico, inoltre il clima in cui Tetsuo
nasce è imbevuto di cultura cyber-punk e il film ne ha semplicemente
risentito. Tomasi allora gli chiede com’è nato, 4 anni dopo, Tetsuo
II e il regista risponde che allora l’intenzione era quella di fare un
horror, ma si è fatto prendere la mano dalla fantascienza e ha
mantenuto lo stesso titolo solo perché gli piaceva molto; in quel
caso il tema era quello del corpo che si scontra e che vive nella metropoli,
Tokyo è una città cresciuta moltissimo e rapidamente e l’uomo
in questa realtà spesso ha la sensazione di esserne schiacciato,
anche qui il corpo umano è centrale e a fargli da contraltare non
c’è più l’erotismo, ma la città opprimente. La domanda
successiva verte su Tokyo Fist film in cui torna di prepotenza il corpo,
ma in modo differente. Tsukamoto dice di avere preso lo spunto dal fratello
boxeur, Tokyo è una città molto controllata, ma esistono
posti dove i crimini restano impuniti, durante un incontro di boxe si
possono infatti uccidere gli uomini, la carne umana è martoriata
e il dolore ci rende coscienti di possedere un corpo, il tema torna di
nuovo, ma sotto un’altra prospettiva (quella che poi segnerà profondamente
la sua cinematografia successiva, n.d.r.); Tomasi continua chiedendogli
il motivo dell’esiguo numero di film e la risposta è un’orgogliosa
difesa della libertà e della più completa autonomia di autore
a tutto tondo, il regista giapponese infatti cura la regia, il montaggio,
la fotografia… si occupa di tutto personalmente e ciò rallenta
la realizzazione dei film. A questo punto arriva la domanda che mette
seriamente in imbarazzo Tsukamoto Shinya: “Chi è Tsukamoto attore?”,
il regista sta in silenzio per un paio di minuti, cerca di minimizzare
dicendo che semplicemente gli piace recitare, poi vince l’imbarazzo e
spiega che alle elementari era molto timido, ma in quarta l’hanno fatto
esibire su un palcoscenico e gli è piaciuto talmente che non ha
più smesso, la recitazione è un ottimo strumento di conoscenza
di sé perché mette in gioco fattori molto delicati e così
ha continuato. L’intervistatore coglie la palla la balzo e cavalca l’onda
del personale chiedendogli come possa un uomo dalla sguardo tanto mite
girare film tanto cruenti e l’uomo dallo sguardo mite risponde che spesso
si è trovato davanti a giornalisti che conoscevano solo la sua
opera e non lui e erano convinti che avrebbero avuto a che fare con un
personaggio con i capelli dritti in piedi e le catene ovunque; in realtà
ogni individuo dovrebbe cercare un proprio equilibrio, un mite possiede
un aspetto violento, il suo in particolare esce quando beve molto sakè,
scherza l’autore.
Tomasi torna sul professionale e gli chiede di confermare o smentire la
notizia secondo cui girerà in USA un nuovo Tetsuo, ma non otterrà
né conferme né altro, il regista dice che dieci anni fa
si parlava di una realizzazione insieme a Tarantino di cui poi non si
è fatto nulla, l’intenzione resta, ma di sicuro non sarà
il suo prossimo film e di certo non lo farà su commissione perché
Tetsuo è una sua creazione a cui tiene molto e non vuole snaturarlo
avendo a che fare con troppi partecipanti.
A questo punto l’autore viene invitato a presentare il suo nuovo lavoro
A Snake of June che uscirà nelle sale (finalmente!) a marzo, questa
la sua (breve ed essenziale) presentazione: a Snake of June pensa da 15
anni, ogni volta a giugno desidera realizzare un film che parli dell’erotismo
di questa stagione (una stagione di piogge). Questa volta c’è solo
il corpo umano, è un’opera semplice, un film di arrivo e nello
stesso tempo un film di partenza. Seguono le solite domande del pubblico
sull’influenza dei manga (sì) e di Cronenberg e Lynch (decisamente),
qualche minuto di applausi e Tsukamoto lascia la sala davanti al suo nuovo
film.
A Snake of June
(Rokugatsu no hebi,Giappone,2002)
Regia, sceneggiatura, fotografia, montaggio, scenografia: Shinya Tsukamoto
Musiche: Chu Ishikawa
Prodotto da: Shinya Tsukamoto
Durata: 77'
INTERPRETI
Asuka Kurosawa (Rinko)
Yuji Koutari (Shigehiko)
Shinya Tsukamoto (Iguchi)
Questa è un’opera seducente, attraente, bella, curata, perfetta,
non vi aspettate niente di meno o resterete delusi. Un bianco e nero virato
al blu, la pioggia che scende incessante, la storia di Rinko, Iguchi e
Shigehico procede entro questo contesto e con una grande comprimaria:
la fotografia che dà inizio al tutto e che a tutto dà senso.
Rinko è un’operatrice telefonica che lavora per una società
di supporto psicologico, salva la vita a Iguchi, fotografo, ed è
sposata con Shigehico che la trascura impegnando tutto il proprio tempo
in una frenetica pulizia della casa. Iguchi decide di sdebitarsi con la
donna portandola a prendere atto dei propri desideri e della frustrazione
a cui la vita repressa la costringe e lo fa mostrandole come è
veramente attraverso una serie di foto che la ritraggono durante l’orgasmo.
In un percorso di scoperta del sé che coincide con quello parallelo
di liberazione e di guarigione, Tsukamoto riprende quel discorso sui canali
di comunicazione del nostro corpo (dolore, malattia) aperto con Tokyo
Fist e mette letteralmente a fuoco come la via della conoscenza sia quella
della salvezza e passi per la completa accettazione; il discorso da patologico
diventa via via amoroso e lo sguardo dell’autore lo asseconda pienamente,
noi viviamo un crescendo di fiducia, di consapevolezza del sé e
dell’altro, immagini che fanno da specchio a una realtà interiore
studiata nei dettagli e sempre in qualche modo morbida ci portano a perderci
nei meandri della mente presi per mano da un’ottima guida, il corpo. Un
film che assurge al ruolo di classico per la tecnica di ripresa e che
nello stesso tempo è del tutto deflagrante rispetto a qualsiasi
tradizione, a partire dalla lumaca che a tratti appare a tutto schermo
per finire con la presa di posizione netta su una patologia piuttosto
diffusa. Punto di arrivo e punto di partenza, dice l’autore, non desideriamo
di meglio.
Tra il 21 e il 24 febbraio è stata proiettata la retrospettiva
completa del regista, qui di seguito brevi considerazioni su alcune sue
opere.
MOSTRI DI GRANDEZZA NATURALE
(Futsu saizu no kaijin, Giappone 1986, 18’, col.)
Il corto che contiene in sé tutti i germi di Tetsuo apre la retrospettiva
dedicata a Tsukamoto Shinya, dunque sesso, alienazione, suggestioni manga
e carne e metallo. Un piccolo film di culto, nel modo più assoluto.
LE AVVENTURE DI DENCHU KOZO
(Dechu kozo no boken, Giappone 1987, 45’,col.)
Uno strepitoso mediometraggio manga con protagonista un ragazzo che ha
sulla schiena un palo elettrico, motivo di frustrazione e complessi che
poi diventa il segno dell’uomo che ha il potere, la forza e il dovere
morale (quello vero) di salvare il mondo. Visionario, eccessivo, ironico,
questo film è un capolavoro che contiene tutte le tematiche del
primo cinema di Tsukamoto e le mostra senza lesinare lasciando gli spettatori
a miagolare felici davanti a ogni singolo fotogramma. Le immagini di quest’opera
sui generis scorrono sul televisore nelle prime scene di Tetsuo.
TETSUO
(Giappone 1989, 67’, b/n)
Ed eccolo il manifesto del cyber-punk, un Kafka giapponese che narra di
un uomo che una mattina vede sul proprio viso una protuberanza di acciaio
e con lo scorrere del tempo subisce una metamorfosi che lo trasformerà
in creatura di carne e metallo (fallo rotante compreso) fino al trionfo
finale (molto poco kafkiano). Questo film ha mandato in delirio più
di una generazione e, nonostante le difficoltà incontrate all’inizio,
Tsukamoto ha infatti raccontato che durante le prime proiezioni la gente
se ne andava senza nemmeno salutarlo, rimane a tutt’oggi uno dei film
più rappresentativi del Nuovo Cinema Giapponese.
TETSUO II: THE BODY HAMMER
(Giappone 1991, 83’, col.)
Palazzi giganteschi e sette di fanatici che vogliono conquistare il mondo
sono lo scenario; dal sacrificio di un bambino nasce la furia del padre
che manifesterà la propria rabbia trasformandosi in una macchina
da guerra esso stesso. Se guardando Tetsuo avete ringraziato un qualche
Dio per il fatto che fosse in b/n, fate un po’ di training autogeno prima
di affrontare questo film che pur non essendone il seguito, abbonda di
dettagli macabri e trasuda sangue. I manga regnano sovrani anche questa
volta.
GEMINI
(Soseiji, Giappone 1999, 84’, col.)
Inusuale collocazione nei primi anni del ‘900 in zone rurali del Giappone
per questa vicenda di gemelli separati che si ritrovano senza esserne
proprio felici, permangono l’atmosfera pesante e i corpi che si modificano,
ma il segno narrativo è inedito per la produzione di Tsukamoto,
il registro di riferimento si sposta dai manga alla tradizione giapponese
e i temi trattati, la disparità sociale innanzitutto, determinano
il delinearsi di un percorso che conduce alla narrazione. Bellissime le
musiche e grandi gli interpreti, purtroppo questo film dopo essere stato
proiettato al Lido non è mai stato distribuito.
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