
Che l'enigmatico indiano di Hollywood M. Night
Shyamalan avesse tentazioni autoriali piuttosto ardite era stato chiaro sin
dall'uscita de IL SESTO SENSO, pellicola interessante per tematiche ed
arricchita da certi voli pindarici di regia nemmeno disprezzabili.
Altrettanto evidente, però, è che con robaccia come SIGNS e UNBREAKABLE, non
è facile farsi insignire (da chi poi?) della corona di autore o, almeno,
superare indenni l'ordalia della critica cinematografica. A voler
sottolineare l'egotismo ipertrofico del nostro ci pensa THE VILLAGE (che,
tanto per gradire, ha portato negli Stati Uniti l'agghiacciante titolo
promozionale di M. NIGHT SHYAMALAN'S THE VILLAGE), film che vede l'amore del
regista per il sovrannaturale tout court cedere il passo ad una messa in
scena più rigorosa che, pur non mancando di suggerire congetture
fantastiche, sembra guardare ad Hitchcock più che a Polanski. Andando ad
indagare territori che sembrano, almeno tematicamente, di pertinenza
Spielberghiana, Shyamalan descrive la condizione di una società
intrappolata, in senso più che mai concreto, in una valle circondata da un
inquietante bosco che parrebbe essere rifugio di creature minacciose. Detta
così, quella di THE VILLAGE parrebbe essere una storia classicamente
allegorica, nella quale il tema del confine come elemento di segregazione e
autosegregazione si lascia scorgere su più piani; in realtà uno dei (pochi)
meriti di Shyamalan è quello di non essersi soffermato, almeno nella prima
mezz'ora di pellicola, su congetture psicosociologiche, preferendo alla
trattazione dell'aspetto metaforico della vicenda una costruzione della
suspense piuttosto ben congegnata. Peccato che quanto di bello c'è in THE
VILLAGE si esaurisca qui; se l'effetto di straniamento dello spettatore che
deriva dall'immersione in una situazione formalmente realista ma logicamente
impensabile funziona a dovere, lo stesso non si può dire della trama fin
troppo fitta di clues che Shyamalan inizia a tessere non appena la vicenda
si fa più definita. Nel tentativo di confondere il fruitore, il film dà vita
ad un'estenuante sequela di colpi di scena suggeriti, mostrati, smentiti e
ri-mostrati che, nella migliore delle ipotesi, si rivelano artificiosi,
mentre nella peggiore sembrano presupporre la totale idiozia dello
spettatore. Nonostante la vicenda inizi a colorarsi di aspetti simbolici
(che purtroppo ci è difficile riportare visto che costituiscono parte
integrante della “sorpresa” che dovrebbe essere sottesa al film), il
potenziale comunicativo e l'apparente sobrietà del lavoro di Shyamalan
prendono fatalmente la rotta della deriva dopo la fatidica prima mezz'ora ed
il restante metraggio di pellicola non sembra andare oltre a sporadiche
trovate di fotografia. L'intera costruzione dell'elemento di thrilling viene
smontata e ri-assemblata in quella che sembra la parodia grottesca di un
horror, mentre i personaggi, sempre a metà tra figure umane e caratteri
sociologici, perdono man mano la propria credibilità. Sia chiaro, Shyamalan
non è uno sprovveduto e l'incessante provocazione che porta allo spettatore
non manca di dar frutti in termini di coinvolgimento, ma è proprio
l'intreccio finale, che porta alla necessaria epifania inaspettata, che
rivela la natura effimera di un film che si regge (a malapena) in piedi su
un paio di grossolane Hitchcockerie ed una costante indecisione nel prendere
le parti dei propri personaggi mascherata da insopportabile distacco Von
Trieriano. Imperdonabile.
Voto: 16/30
06:11:2004 |