
Tratto dall’omonimo personaggio dei
fumetti Marvel. Frank Castle (Jane) ha da poco lasciato l’FBI per rifarsi
una vita più tranquilla accanto a moglie e figlioletto. I suoi piani
verranno mandati a monte dal perfido Howard Saint (Travolta), potente e
malavitoso uomo d’affari di Tampa: per vendicare la morte di un suo erede,
rimasto ucciso durante una retata, Saint ordina ai propri sicari di
eliminare l’intera famiglia dell’ex agente. Scampato miracolosamente allo
sterminio, Castle si metterà sulle tracce dei criminali deciso a far
giustizia.
Sceneggiatore negli ultimi anni di film d’azione dal grande successo ma
piuttosto convenzionali (DIE HARD, THE ROCK, CON AIR, ARMAGEDDON), Hensleigh
esordisce alla regia nel modo più singolare, dimostrando di nutrire
inaspettate aspirazioni d’autore (e anche stavolta firma la sceneggiatura).
Dopo una prima mezz’ora piuttosto fedele alla genesi del personaggio,
infatti, il film si discosta sempre più dal fumetto Marvel da cui deriva per
cercare attinenze con modelli decisamente più cinematografici. Il regista ha
detto di essersi ispirato ai film d’azione degli anni ’70 come IL BRACCIO
VIOLENTO DELLA LEGGE e la serie dell’ispettore Callaghan per il taglio crudo
e il ritmo serrato, ma le sue influenze sembrano soprattutto altre: le
sequenze delle sparatorie (fra le cose più riuscite del film) ricordano
Michael Mann, l’iperrealistico scenario metropolitano il primo John Woo, e
poi Leone, Peckinpah, citazioni da EL MARIACHI di Rodriguez e Frankenstein(!),
meccanismi da commedia, gag comiche, accenti pulp, colpi di scena da
soap-opera, reminescenze scespiriane (Saint verrà costretto ad uccidere con
le proprie mani chi gli sta vicino). Troppa carne al fuoco? Per i fan del
fumetto e per chi si aspettava – legittimamente – una semplice e muscolare
storia di vendetta sicuramente sì. Ma gli spettatori che non conoscono già
il personaggio (e in Italia non sono pochi) possono rimanere affascinati da
questa ennesima operazione cinefila moderna che vira di continuo da un
genere all’altro e attraversa un po’ confusamente una certa storia del
cinema, e non solo, e in cui le singole scene contano più del risultato
d’insieme. E se Travolta non si avventura fuori dai confini della
professionalità, il semisconosciuto Jane (una specie di Cristopher Lambert
meno pacioccone) si rivela molto adatto al repentino passaggio dal registro
serio a quello umoristico, l’aspetto più peculiare e sorprendente, nel bene
o nel male, del film. Quidicenni e cinquantenni a casa, trentenni “colti” in
poltrona.
Voto: 24/30
06.06.2004
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