VENEZIA.66

 

tetsuo the bullet man

di Shinya Tsukamoto

Giappone 2009, 80'

 

In Concorso

 

23/30

L’esperimento americano di Tsukamoto sorprende più per la coerenza concettuale al primo Tetsuo che non per le (poche ahimè) sconvolgenti novità del suo terzo capitolo.

A lungo corteggiato dai produttori americani per un remake del primo Tetsuo, Tsukamoto ricalca il suo cult su dei volti esteticamente più familiari al pubblico occidentale, allo scopo di conquistare con la sua delirante visionarietà anche le nuove generazioni. E lo fa riproponendo, giustamente, le stesse tematiche e gli elementi portanti di un film Tetsuo: la carne nella metamorfosi a metallo, la rabbia e la vendetta, l’alienante realtà di Tokyo, città emblema del cyber punk metropolitano, ormai ambientazione feticcio dell’opera di Tsukamoto.

Questa volta l’alter ego umano di Tetsuo è Anthony, un salaryman americano nato e cresciuto a Tokyo, sposato con una donna giapponese con la quale ha un bimbo, Tom. La morte del figlioletto per mano di uno sconosciuto (Tsukamoto stesso), fa scatenare tutta la sua rabbia recondita, che sfocia a sua volta nella metamorfosi di Anthony in un essere di carne e metallo. Ci viene svelato, in modo poco esauriente però, che la causa della natura disumana di Anthony sarebbero degli esperimenti genetici compiuti in passato dal padre biologo. L’unico personaggio a gongolare dell’intera situazione è lo sconosciuto interpretato da Tsukamolo, fanatico della metamorfosi di Anthony, che insiste nel provocarlo per poter assistere ad ulteriori e bellissime, a suo parere, trasformazioni metalliche. La qualità degli effetti speciali non basta tuttavia ad adempiere alle lacune narrative e teoriche del film, col risultato di lasciare allo spettatore un’immagine ben definita, ma priva di un sostegno esplicativo. Le dinamiche narrative dei precedenti Tetsuo erano sì altrettanto poco chiare, ma la fotografia meno precisa, i ritmi del tutto personali delle riprese, non pretendevano di dare risposte e anzi lasciavano spazio all’interpretazione, paradossalmente soddisfando di più lo spettatore confuso, ma incantato. Le imprecisioni narrative di Tetsuo I e Tetsuo-Body Hammer erano tollerate, e anzi idolatrate, in ragione del ritmo schizofrenico e nervoso partorito dal genio di Tsukamoto. In Tetsuo the Bullet Man la schizofrenia viene ricamata e infiocchettata, finendo per rivelarsi poco credibile, quanto i dialoghi in inglese, perfetti ma poco spontanei, frutto della maniacalità del regista, determinato nel realizzare un Tetsuo americano perfettamente aderente alla sua stessa natura giapponese.

Forse per far sentire più a proprio agio il pubblico occidentale, il binomio Tetsuo-Tokyo  questa volta resta sottinteso, anche troppo. La metamorfosi dell’uomo in metallo furente era stata finora giustificata, nei capitoli precedenti, dallo scontro tra la natura umana con la  ferrosa durezza del contesto metropolitano giapponese. Se è vero che non si è volontariamente rinunciato a nipponizzare il background allo scopo di rendere questa versione di Tetsuo più internazionale, il requisito fondamentale di contrapposizione uomo-metropoli viene però meno in tutti i settantanove minuti di proiezione: Tokyo la si può solo intuire, se non per qualche istantanea dei grattacieli di Shinjuku, e Anthony ci appare come una scheggia impazzita di un qualsiasi ambiente metropolitano, vittima di una già vista manipolazione genetica e, per coerenza alla necessità di insinuare il metallo nella scena, l’atmosfera è così ferrosa da non permettere di provare emozioni per la tragedia familiare in corso.

Se Tsukamoto ci ha fatto attendere tanto per un terzo episodio, è stato per la sua encomiabile necessità di creare film alla propria maniera, senza compromessi e mediazioni di alcun genere (le sue sporadiche incursioni alla corsa al botteghino sono comunque riconducibili al suo stile originale). Tsukamoto come un bambino testardo, che si ostina a voler giocare da solo interpretando tutti i ruoli della partita: Tarantino gli propone una collaborazione per Tetsuo III e con la consueta cortesissima sfacciataggine nipponica declina l’offerta, gli vengono offerte grandi star hollywoodiane per la parte di protagonista, ma lui rifiuta. Vuole fare tutto da solo, Tetsuo è suo e non si tocca, anche a costo di deludere gli altri, ciò che conta è non deludere la propria arte. Niente compromessi per l’arte. E così anche stavolta si occupa in prima persona di  scenografia, direzione, montaggio, sceneggiatura (in inglese…sigh!), recita (in inglese..sigh sigh).  Tanta fedeltà al proprio stile è nient’altro che ammirevole, ma scivola sulla pretese di mantenere ritmi nervosi e deliranti in un lungometraggio con una trama da seguire e budget che permetterebbero di fare molto meglio, a patto di accettare di allontanarsi dal sentiero dell’amatoriale artefatto.

Tetsuo the Bullet Man non è un valido clone occidentale dell’originale di vent’anni fa, ma Tsukamoto ci fa sognare ancora, proprio per il fatto di essere l’esempio ammirevole di un artista che non si lascia annegare nel mare delle pretese commerciali e va avanti, stralunato e visionario, per la sua strada.

 

06:09:2009

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Venezia, 02/12 settembre 2009