è un
documentario di raro equilibrio e di grande bellezza e perfezione formale
sulla necessità di tornare alla terra (già mostrato all'ultimo Festival di
Berlino), l'omaggio di Ermanno Olmi a
Terra Madre, la grande
manifestazione torinese che ogni due anni riunisce rappresentanze di
contadini e produttori dagli angoli più sperduti del pianeta, martoriato
dalle catastrofi ecologiche, ambientali e climatiche, a discutere di
sostenibilità, cibo, ri-umanizzazione del lavoro agricolo. Una battaglia,
quella del patron di "Slow Food" Carlin Petrini, a sostegno delle
agricolture ed economie locali, contro il sistema delle multinazionali che
privatizzano acqua e sementi, come accade nella base delle Isole Svalbard,
Norvegia, dove (ci mostrano le immagini) è stata costruita la prima Banca
Mondiale del Seme, da Barroso con magniloquenza definita durante
l'inaugurazione "Eden ghiacciato", in realtà nelle mani di cinque grandi
proprietari, multinazionali, ca va sans dir.
Settantotto minuti divisi in due parti, ben riconoscibili. La prima, più
lunga ed articolata, utilizza come raccordo i diversi momenti della
manifestazione torinese, variegata danza di volti contadini e colorati abiti
tradizionali, cinesi e peruviani, indiani ed africani. Su tutte le numerose
voci spiccano quelle dell'attivista ambientale Vandana Shiva, paladina
ecologista della lotta alla globalizzazione, che ha trasformato la sua
fattoria in un deposito di millenarie conoscenze contadine, dove le
biodiversità sono gelosamente conservate (sotto forma di sementi) affinchè
le generazioni future possano conoscerle e utilizzarle.
A quelle immagini si intrecciano poi altri racconti, come quello dell’”uomo
senza desideri”, il contadino veneto che cinquant’anni fa, interpretando
l'avanzare dell'industrializzazione come atto sacrilego nei confronti della
terra, fece l'estrema scelta di isolarsi dal consorzio umano, consumando
solo ciò che la sua terra produceva.
La seconda parte, di puro lirismo, affida alle immagini di un contadino che
lavora la sua terra (siamo in Alto Adige) la struggente necessità di
recupero della voce della natura. In (quasi) totale assenza di voci umane le
riprese (del poeta contadino Franco Piavoli, cui si devono pure le parti di
narrazione) si concentrano sui movimenti senza tempo del lavoro manuale,
sulla terra smottata o coperta di neve, sul miracolo della vita che si
rinnova. Unica voce, gli echi di paesaggi sonori quasi sconosciuti agli
abitanti delle città (come cantava l'ex ragazzo della via Gluck Celentano,
che ha donato a Olmi un nuovo brano che accompagna i titoli di coda), rumori
di foglie, rami e nuvole gonfie di pioggia, interrotti a tratti, come
supremo, sacrilego sfregio, dal passaggio degli aereoplani.
Non c'è dubbio che la decisione di Olmi di abbandonare il cinema di finzione
(lo annunciò dopo Centochiodi)
sia da appoggiare in pieno, se i risultati sono questi. Non c'è dubbio
parimenti che si tratti di materia congeniale a un regista che alla natura e
all'attenzione quasi da antropologo nei confronti delle civiltà contadine ha
dedicato alcuni dei suoi film più celebrati (L'albero
degli zoccoli in primis). Ma non si pensi ad una celebrazione da
laudator temporis acti, dei tempi in cui a misurare il passo dell'uomo erano
la luce del giorno e le stagioni, perchè la proposta olmiana (e di
Terra Madre) è invece
estremamente rivoluzionaria nel suo recupero del passato: essa prende atto
dell'esaurimento della capacità produttiva della terra, e della necessità di
terminare una guerra non più sostenibile dell'uomo contro se stesso.
Se il protagonista di Centochiodi
si spogliava delle catene di sovrastrutture mentali e di un
intelletto astratto dal naturale scorrere della vita rifugiandosi sulle rive
del fiume Po (anch'esso madre, acqua, fonte di vita), con
Terra madre Olmi celebra una
necessità altrettanto urgente: live with less, live more. L'afflato
religioso delle precedenti opere fa spazio ad una spiritualità tutta umana e
laica, fatta di terra e volti. è
quasi l'allestimento di una celebrazione da rituale pagano, della madre
terra appunto, e non a caso le prime parole del documentario sono passi
dalle Georgiche di Virgilio (il più “religioso” degli autori pagani),
scandite dalla voce lenta e antica di Omero Antonutti.
08:05:2009
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