Sabato 13 aprile 2013
L’UOMO DOPPIO sarà presentato a Lecce in occasione del
FESTIVAL DEL CINEMA EUROPEO
KINEMATRIX Ciao Cosimo. Vorrei innanzitutto rinnovarti i miei
complimenti per il film e ringraziarti per esserti reso disponibile a
quest’intervista.
La mia prima domanda per te è la seguente: durante
l’incontro per la presentazione de L’UOMO DOPPIO al Nuovo Cinema Aquila di
Roma hai affermato che la scelta di utilizzare diverse tecnologie di
produzione dell’immagine fosse legata al desiderio di ottenere un maggiore
effetto di realismo. In un’altra recente intervista hai sottolineato che la
scelta di ricorrere a strumenti low-fi, se da un lato non soddisfa
pienamente la tua voglia di perfezione, dall’altro soddisfa abbondantemente
il bisogno di senso. Ti va di spiegarci meglio i motivi di questa
preferenza?
COSIMO TERLIZZI In alcuni casi estetizzare lo stato d’animo può significare
cristallizzarlo talmente tanto da farlo morire. La vita segue flussi
rettilinei e tortuosi e il mezzo di rappresentazione non può tradire a lungo
lo sguardo. Dunque sperare che lo spettatore non s’accorga del mezzo e dei
virtuosismi dell’opera sarà presto una pretesa insopportabile. Siamo in un
periodo d’assuefazione dell’immagine. Nei mass media si è giunti a provare
dosi più forti di spettacolarizzazione e accadimenti pur di fare audience.
Il Cinema, per come l’abbiamo vissuto in questi ultimi trent’anni, si
comporta come un animale in pericolo di vita. Si dimena per sopravvivere e
nello stesso tempo affonda sempre di più. Cosa fa grande il cinema? Abbiamo
compreso, in questo secolo, che eccedere nei virtuosismi in un’opera può
affossarne il senso. Si è raggiunta una tale perfezione nella messa in scena
e una tale facilità d’utilizzo dei mezzi a discapito della necessità
dell’opera in sé, della sua verità. È come morire di vanità. Dunque bisogna,
probabilmente, puntare verso la scomparsa del mezzo o il superamento del
mezzo stesso; per ritrovarci improvvisamente come spettatori dentro l’opera
senza renderci conto degli scalini fatti. Il mio processo di creazione
contempla questo inganno, a doppia lama.
Come tu stesso hai affermato, la contemporaneità è
il luogo privilegiato della frammentarietà (sto parafrasando). Solo passando
attraverso il frammento si può giungere al senso, che tuttavia non è mai
univoco, ma è uno dei tanti sensi possibili. Immagino che le tue scelte
formali e registiche abbiano a che fare anche con questa
consapevolezza.
Questo bombardamento di vite e di possibilità
attraenti, ma anche di tragedie continue, porta ad una saturazione tale
delle informazioni che ci tocca estrarre frammenti. Il frammento non è altro
che il fermo immagine del caos. Il regista è anche colui che si trova a
scegliere un frammento anziché un altro. Qualsiasi pezzo estratto da una
vita, per quanto possa avere una forma improbabile, s’incastra perfettamente
nella sua posizione, in mezzo ad altri frammenti. Penso al puzzle. Un
aspetto interessante è che anche il frammento ha in sé, l’eco del mondo da
cui è stato tratto, possiamo coglierne i moti anche se appena abbozzati.
Un’altra importante metafora all’interno del tuo film è quella del
viaggio, da sempre paradigma di cambiamento ed esperienza autentica. Ne
L’UOMO DOPPIO anche il viaggio sembra essere doppio: viaggio reale e
simbolico, esterno e interiore. Uno strumento attraverso il quale riprendere
contatto con la realtà, un incentivo all’elaborazione del lutto, alla
rielaborazione emotiva di significati e vissuti. È
così?
Infatti, il viaggio è come il nostro approccio con la lettura di un libro.
Conosciamo il mondo quando decidiamo di metterci in cammino, di farlo
muovere. Il libro è sempre lì, a portata di mano, se non lo si sfoglia ci
tocca solo contemplarlo. Una volta aperto si mette in moto, le parole
scorrono e costruiscono immagini, che sono poi le nostre esperienze con il
mondo, rielaborate e adattate.
L'immaginazione non è uno stato mentale: è l'esistenza umana stessa
scriveva William Blake.
Il viaggio ne L’UOMO DOPPIO è un’esperienza reale, costruita giorno per
giorno. Ho individuato due livelli in questo percorso, l’esperienza tattile
e la rielaborazione intellettuale.
A proposito del lavoro sul
corpo, a me sembra che più che sul corpo il tuo sia un lavoro sulla carne,
così come la intendeva il filosofo Merleau-Ponty, ossia come “carne del
mondo”, spazio intermedio tra il dato e il senso. Tra le cose e il mondo c’è
un rapporto carnale, dunque reversibile. C’è uno spessore di carne tra il
vedente e la cosa, attraverso il quale essi comunicano, che è costituito
dalla visibilità propria della cosa e dalla corporeità del vedente. A me
pare che il tuo lavoro sia basato su questo, sull’esplorazione di questo
spazio di reversibilità in cui le cose ti (ci) ri-guardano, poiché tu (e noi
attraverso di te) le ri-guardi. Che cosa ne pensi di questa
suggestione?
Penso che questa tua
suggestione sia giustissima. E ti ringrazio. Il mio è un viaggio nel cuore
della materia e per materia intendo anche la carne, la mia. Partire da qui,
da me. Per quanto possa ad un primo livello apparire autoreferenziale, in
realtà è una dichiarazione di onestà dello sguardo.
L’idea di “carne del mondo” è molto interessante. In fondo mai come in
questi anni ci stiamo rendendo conto che il nostro pianeta è molto più
vicino a noi di quanto si pensi. L’umanità è come un unico corpo/carne sullo
scheletro del mondo. Forse questa è una mia azzardata interpretazione.
Tra le tante cose che mi hanno colpito del tuo film
c’è la grande evocatività delle immagini. Che cosa puoi dirci, in generale,
dei tuoi maestri ispiratori? Con quali artisti, scrittori, registi ti sei
formato? Chi ha nutrito il tuo universo iconico, il tuo immaginario
visivo?
La storia dell’arte mi ha nutrito e il ritornarci
su mille volte. Vorrei puntare sul quel tipo di evocatività, ma con tutte le
complicazioni dei nostri giorni. Lotto, Caravaggio, Goya, Blake, Rimbaud,
Pasolini….
Parliamo delle tue fotografie: come scegli i set
per le tue immagini? C’è una prima fase in cui scatti - diciamo così - delle
fotografie mentali? Immagini delle situazioni evocative e poi procedi alla
creazione del set o lo componi sul momento?
Come ho documentato ne L’UOMO DOPPIO, la creazione
delle mie opere fotografiche parte dall’elaborazione intellettuale del
vissuto. Individuo una forma che possa diventare rappresentativa del
processo avvenuto o in atto.
Qual è il tuo rapporto con la
religione?
Cerco di filtrarla, di depurarla da tutto ciò che mi sembra dettato
dall’ignoranza o dalle paure di chi si è trovato ad interpretarla o ad
esercitarla. Ma, tolte le incrostature, l’obiettivo è molto interessante, in
fondo ogni religione punta all’equilibrio con il vuoto.
Com’è avvenuto l’incontro con Scamarcio, Golino, Prestieri e la Buena
Onda?
L’intesa con Riccardo e la Buena Onda è avvenuta quando ci siamo resi conto
che potevamo unire le forze con fiducia, una sorta di unione civile tra il
cinema mainstream e quello di nicchia. L’idea era di unire le
esperienze per cercare un punto in comune su cui lavorare. Il punto in
comune è la passione verso il cinema come arte totale.
Come mai hai scelto di trasferirti in Svizzera?
Sono qui per amore, una scelta d’amore. Non ho lasciato l’Italia per
questioni lavorative, certo la politica ha favorito l’abbandono. Qui vivo in
una bolla, aria pulita, mi carico, poi, superate le Alpi, combatto a colpi
d’arte e spero di colpire nel cuore.
Stai lavorando a qualcosa in questo momento?
Sono alle prese con la stesura di un soggetto,
m’impegna da molti mesi ormai. Spero di riuscire a concluderlo presto. Nel
frattempo sto preparando una performance da fare in una stalla di mucche a
Bergamo, in collaborazione con Traffic Gallery, un’azione che sviluppa
l’idea di Derrida su
“L’animale
che dunque sono”
.
Ti rivedremo presto a Roma?
Presto in alcune sale.
Roma-La Chaux-de-Fonds, 10 aprile 2013 |
L'UOMO DOPPIO
Una produzione Buena Onda con
Damien Modolo, Cosimo Terlizzi, Barbara Modugno,
Christian Rainer, William Ranieri, Roberto Ratti, Paolo
Romagnoli, Sissi e con la partecipazione di Sara
Sartori, Federica Scarnati, Antonio Anuk, Jo Sinclair
soggetto e sceneggiatura Cosimo Terlizzi I
musica Melampus, Christian Rainer I supervisione
alla fotografia Federico Annicchiarico I
montaggio Cosimo Terlizzi I montaggio del
suono e mixage Massimo Carozzi I assistente alla
regia Damien Modolo I delegato di produzione
Ines Vasiljevic
prodotto da Riccardo Scamarcio, Viola Prestieri,
Valeria Golino I un ringraziamento particolare a
Traffic Gallery, Nadine Brussel, in House, Giovanni
Aloi, Nicolas Coulomb, Diego Fontecilla, Valentina
Pellitteri, Pierfrancesco Uva |