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Primo [e forse unico?] esempio di cinema realista all'interno di una rassegna immaginifica quasi per definizione, TELL ME YOUR SECRET trasmette allo spettatore, ma ribaltato, lo stesso senso di disagio che s'insinua nella vita della protagonista: una madre colpevole di mancato soccorso alla ragazza che ha appena investito. Il marito, testimone dell'accaduto, combatte tra protezione e speranza che la moglie opti per un outing liberatorio, salvo scoprire l'abisso di incertezze e debolezze attorno alle quali ruota l'universo familiare, completato dall'unico adulto responsabile e politically correct della storia: il loro bambino di otto anni, che familiarizza con la figlia della vittima. Quest'ultima cerca possibili testimoni piantonando la zona dell'accaduto, con un cartello [banner] appeso al collo, che il bimbo custodisce nella sua stanza. Tra dramma e tensione appena abbozzata, il nostro disagio prende forma attorno all'ambiguità dello sviluppo, che premia l'intervento riparatore del marito - una donazione anonima a favore della poveretta - come percorso di una presa di coscienza mancata, fallita. E' più importante, ci dice il film, che un bambino non perda la madre, se costituitasi alla polizia, piuttosto che arrivare alla verità vera; è meglio che la vittima, dai ricordi annebbiati, confonda l'auto con un altro mezzo, restituendo una cieca tranquillità al nucleo familiare, graniticamente compattato attorno ai must dell'educazione scolastica del piccolo, che mai potrebbe fare a meno della figura materna, pronta a conquistare, al prossimo incidente d'auto, un'altra fetta di generale condiscendenza. |
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Gabriele FRANCIONI |
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