Continua la campagna di sensibilizzazione sociale rivolta alla
popolazione a stelle e strisce. Michael Moore fa scuola e dilaga la sua
formula vincente: quella di mettere in guardia i cittadini americani,
seppur in chiave ironica, dai demoni che ne tormentano la quotidianità e
ne caratterizzano lo stile di vita ormai da diversi anni.
Un nuovo documentario, quindi, che si veste di sarcasmo cinico e
disincantato per denunciare un’enorme spina nel fianco della società
statunitense: l’obesità prodotta dai fast-food.
Questa volta, ad accompagnarci nella lenta discesa verso il girone
dantesco del grasso in eccesso è Morgan Spurlock - regista e scrittore
del libro da cui è tratto il film (NON MANGIATE QUESTO LIBRO, ediz.
Fandango Libri) – il quale si sottopone a un autentico tour de force,
consumando per un mese intero i tre pasti delle sue giornate da
McDonald’s.
È infatti davanti ai banconi della massima catena planetaria di
fast-food che l’analisi di Spurlock si focalizza, divertendo grazie alla
collaborazione di personaggi a dir poco caratteristici e trascinandosi
con piccole gag che sembrano fare da sfondo a un quadro sociologico
degno del vecchio detto “mogli e buoi dei paesi tuoi”.
Il risultato è intuibile: il peso e il livello di colesterolo nel sangue
del protagonista - sotto controllo costante di medici specializzati -
crescono con incredibile rapidità nel giro di poche settimane, portando
i medici e lo stesso Spurlock a considerare seriamente l’idea di
interrompere l’esperimento prima del termine prefissato. Non lo farà. Ed
è apprezzabile il suo coraggio, unito alle indagini condotte all’interno
di svariate mense scolastiche con lo scopo di inceppare il marchingegno,
di fermare gli ingranaggi di una distribuzione alimentare malsana
proprio nel luogo dove i giovani consumano la stragrande maggioranza dei
loro pranzi.
Ma è l’esito finale del test, facilmente pronosticabile e continuamente
esasperato dal regista, a far scendere SUPER SIZE ME un gradino al di
sotto di Moore sul podio del nuovo cinema social-documentaristico
americano. Una logica a tratti scontata, che avrebbe potuto e forse
dovuto penetrare con maggior intelligenza critica negli angoli più
nascosti del principe mondiale dei fast-food, e che invece finisce col
peccare di una certa superficialità. Mancando la stilettata decisiva che
avrebbe messo in ginocchio il beffardo Ronald McDonald, costringendolo a
togliersi parrucca e naso rosso di fronte ai suoi piccoli ammiratori, e
a liberare gli scheletri nascosti in quell’armadio strenuamente difeso
dall’esercito di accattivanti pupazzi rintanati nelle confezioni dei
loro “happy meal” come in un farsesco cavallo di Troia. Pronti a
sferrare, con impeccabile sapienza, la loro opera di persuasione
commerciale.
Voto: 25/30
11:04:2005 |