
La prima immagine è quella di una strada, in bianco e nero, che una macchina
percorre nel noto cammino del ritorno. Luo Yusheng si sta recando a casa,
dopo molti anni di vita in città, perché suo padre, maestro del villaggio
di Sanhetun, nel nord della Cina, è morto. Lì l'aspetta la madre anziana
ed ormai sola che ha come unica consolazione il desiderio che il marito
sia trasportato a braccia dall'ospedale al luogo di sepoltura dagli uomini
del villaggio, secondo un'antica tradizione per cui ai defunti deve essere
indicata dai loro cari la strada che li riporti a casa. Ma il ritorno
nel villaggio in cui è cresciuto, il dolore per la scomparsa del padre,
la preoccupazione per il futuro della madre e i problemi pratici legati
all'organizzazione di un tale funerale diventano quasi il pretesto per
Yusheng per soffermarsi a pensare alla vita dei suoi genitori e per raccontarci
la loro storia d'amore. Ecco che allora le immagini diventano a colori
e la voce narrante di Yusheng ci descrive l'incontro di Luo Changyu e
Zhao Di, avvenuto molti anni prima, quando suo padre fu mandato dalla
città ad insegnare nel piccolo villaggio. Un amore immediato, nato da
uno sguardo e alimentato da piccoli gesti, che diventa ossessione nel
momento stesso in cui viene avversato da una lontananza imposta a Lou
Changyu per motivi politici. Ma tutto questo è raccontato dal regista
in una forma anomala rispetto al suo modo di narrare: manca l'atmosfera
avvolgente di LANTERNE ROSSE e la densità di contenuti di NON UNO DI MENO.
Qui ci sono immagini in cinemascope e un unico tema musicale che si ripete
a volume più o meno alto a seconda dell'intensità delle scene e che ricorda
i ritmi occidentali, stridendo amaramente con il mondo che dovrebbe evocare.
Il risultato è uno strano contrasto tra un sentimento casto e prezioso,
legato agli oggetti, alle espressioni dei volti o ai semplici silenzi
e una regia fatta di immagini eclatanti che ci disorienta con bellissimi
e grandiosi paesaggi, ma che mal si concilia con il clima intimista dei
contenuti. Un contrasto che pesa ancora di più per il fatto di non essere
funzionale alla storia, ma anzi finisce per impoverirla, privandola della
forza di un'atmosfera che non ha bisogno di grandi fatti, ma che si nutre
di poco nel momento stesso in cui molto è trasmesso in via subliminale.
E sebbene la struttura sia organica e ben concepita, il racconto ha poco
mordente, non potendo nemmeno contare sul supporto dei dialoghi, ma puntando
tutto sulla fotografia e sulle immagini, tanto da poterlo assimilare ai
prodotti migliori del cinema americano, appositamente studiati per stupire
il grande pubblico.
E poi finalmente, come quando ci si risveglia da un brutto sogno, si torna
all'oggi, al funerale, alla madre che con le sue ultime forze tesse il
drappo funebre e alle immagini in bianco e nero. Ai contrasti con la neve
di un corteo che segue la strada che porterà Lou Changyu di nuovo a casa
e che le persone che lo hanno amato e stimato percorrono con lui per l'ultima
volta, in modo che non la dimentichi mai.
Orso d'argento gran premio della giuria al festival internazionale del
cinema di Berlino 2000, questo ultimo lavoro di Zhang Yimou in realtà
delude per le sue contraddizioni irrisolte, che lo rendono simile a tanti
altri film e nello stesso tempo lontanissimo della cultura a cui appartiene.
Voto: 18/30
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