Capturing The Friedmans

UNA STORIA AMERICANA
di Andrew Jarecki,
Con: Arnold, Elaine, Jesse e David Friedman

di Riccardo FASSONE


Ci vuole molto coraggio ed una discreta dose di ignoranza per presentare al pubblico italiano Capturing The Friedmans, opera prima di Andrew Jarecki, con l'agghiacciante titolo di Una Storia Americana. L'idea che, dopo l'ascesa di popolarità di Michael Moore, tutti i documentari provenienti dagli Stati Uniti debbano necessariamente trattare la realtà sociale e politica della terra dei coraggiosi ha decisamente preso piede tra i distributori italiani e l'opera di mistificazione condotta ai danni del pregevole lavoro di Jarecki appare davvero come un insulto al film. Capturing The Friedmans è prima di tutto una riflessione sulle ambivalenze connaturate all'umanità, un'opera di respiro, a suo modo, universale, che nasce in una realtà sociale e famigliare comune a molti dei paesi del primo mondo. Filologie a parte, il film sviscera, attraverso interviste discretamente condotte ed un'enorme quantità di materiale di repertorio, il caso di Arnold Friedman, insegnante di scuola elementare di un sobborgo americano, e del figlio Jesse, entrambi accusati di pedofilia e condannati in seguito ad un lungo processo da molti ancora oggi considerato irregolare. L'analisi di un documentario non può prescindere dall'individuazione del punto di vista del regista, dallo svelamento, cioè, di quei particolari che ci rendono partecipi dello sguardo dell'autore rispetto alla vicenda; Jarecki, in questo senso, appare sfuggente, quasi che l'inestricabile rete di prove, dichiarazioni, smentite, legate al caso affrontato dal documentario avesse reso l'autore incapace di accettare in toto le tesi di una delle parti. Da un lato questa sostanziale neutralità può apparire come una grave mancanza di Jarecki rispetto al suo ruolo di narratore, ma dall'altro la possibilità di costruire il proprio punto di vista concessa allo spettatore rende la visione di Capturing The Friedmans un'esperienza stimolante, che richiede uno sforzo di immedesimazione e lettura delle immagini che raramente il cinema contemporaneo ci permette di compiere. Il corpus di interviste, tutto sommato piuttosto sobrie, colpisce più per il campionario umano proposto (uno dei figli di Friedman, diventato clown, o la moglie divorata dai rancori) che per i contenuti, mentre ciò che davvero tiene insieme il documentario è l'impressionante quantità di materiale girato dalla famiglia stessa, in particolare da Jesse, il figlio minore, anche nei momenti più difficili. Ci si trova così ad assistere all'ansia delle ore prima dei processi, ai momenti in cui il collasso del sistema famigliare si fa evidente, addirittura alla notte precedente all'incarcerazione di Jesse, dichiaratosi colpevole per evitare il massimo della pena. L'approccio ai filmati della famiglia, è rispettoso, il montaggio raramente retorico ed in qualche modo la sensazione di voyeurismo connaturata alla natura delle immagini è stemperata dalla neutralità dello sguardo di Jarecki, che evita di colorare il documentario con costrutti narrativi invadenti ed inappropriati. Un lavoro interessante, dunque, che gioca le proprie carte con lentezza e si presenta, a tratti, refrattario ad un'interpretazione che ricerchi la tesi dell'autore all'interno dell'opera; tutto sommato, però, l'assenza di quell'approccio manicheo tipico di un certo modo di fare documentari, pone lo spettatore di fronte alla necessità di confrontarsi con la tragedia umana dei Friedman in modo aperto, senza sovrastrutture morali, con la sola consapevolezza di trovarsi ad osservare lo specchio di un'umanità della quale inevitabilmente si è parte.
 

Voto: 27/30

06.06.2004

 


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