
Ci vuole molto coraggio ed una discreta dose di ignoranza per presentare al
pubblico italiano Capturing The
Friedmans, opera prima di Andrew Jarecki, con l'agghiacciante titolo
di Una Storia Americana.
L'idea che, dopo l'ascesa di popolarità di Michael Moore, tutti i
documentari provenienti dagli Stati Uniti debbano necessariamente trattare
la realtà sociale e politica della terra dei coraggiosi ha decisamente preso
piede tra i distributori italiani e l'opera di mistificazione condotta ai
danni del pregevole lavoro di Jarecki appare davvero come un insulto al
film. Capturing The Friedmans
è prima di tutto una riflessione sulle ambivalenze connaturate all'umanità,
un'opera di respiro, a suo modo, universale, che nasce in una realtà sociale
e famigliare comune a molti dei paesi del primo mondo. Filologie a parte, il
film sviscera, attraverso interviste discretamente condotte ed un'enorme
quantità di materiale di repertorio, il caso di Arnold Friedman, insegnante
di scuola elementare di un sobborgo americano, e del figlio Jesse, entrambi
accusati di pedofilia e condannati in seguito ad un lungo processo da molti
ancora oggi considerato irregolare. L'analisi di un documentario non può
prescindere dall'individuazione del punto di vista del regista, dallo
svelamento, cioè, di quei particolari che ci rendono partecipi dello sguardo
dell'autore rispetto alla vicenda; Jarecki, in questo senso, appare
sfuggente, quasi che l'inestricabile rete di prove, dichiarazioni, smentite,
legate al caso affrontato dal documentario avesse reso l'autore incapace di
accettare in toto le tesi di una delle parti. Da un lato questa sostanziale
neutralità può apparire come una grave mancanza di Jarecki rispetto al suo
ruolo di narratore, ma dall'altro la possibilità di costruire il proprio
punto di vista concessa allo spettatore rende la visione di
Capturing The Friedmans
un'esperienza stimolante, che richiede uno sforzo di immedesimazione e
lettura delle immagini che raramente il cinema contemporaneo ci permette di
compiere. Il corpus di interviste, tutto sommato piuttosto sobrie, colpisce
più per il campionario umano proposto (uno dei figli di Friedman, diventato
clown, o la moglie divorata dai rancori) che per i contenuti, mentre ciò che
davvero tiene insieme il documentario è l'impressionante quantità di
materiale girato dalla famiglia stessa, in particolare da Jesse, il figlio
minore, anche nei momenti più difficili. Ci si trova così ad assistere
all'ansia delle ore prima dei processi, ai momenti in cui il collasso del
sistema famigliare si fa evidente, addirittura alla notte precedente
all'incarcerazione di Jesse, dichiaratosi colpevole per evitare il massimo
della pena. L'approccio ai filmati della famiglia, è rispettoso, il
montaggio raramente retorico ed in qualche modo la sensazione di voyeurismo
connaturata alla natura delle immagini è stemperata dalla neutralità dello
sguardo di Jarecki, che evita di colorare il documentario con costrutti
narrativi invadenti ed inappropriati. Un lavoro interessante, dunque, che
gioca le proprie carte con lentezza e si presenta, a tratti, refrattario ad
un'interpretazione che ricerchi la tesi dell'autore all'interno dell'opera;
tutto sommato, però, l'assenza di quell'approccio manicheo tipico di un
certo modo di fare documentari, pone lo spettatore di fronte alla necessità
di confrontarsi con la tragedia umana dei Friedman in modo aperto, senza
sovrastrutture morali, con la sola consapevolezza di trovarsi ad osservare
lo specchio di un'umanità della quale inevitabilmente si è parte.
Voto: 27/30
06.06.2004
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