è stato il figlio

di Daniele Ciprì
con Toni Servillo, Gisella Volodi

Marco Grosoli

 

28/30

 

Come si poteva facilmente prevedere, l'esordio “solista” di Daniele Ciprì è stato vittima di robuste incomprensioni. Tutti a fare paragoni con i suoi lavori in coppia con Franco Maresco, a giudicare è stato il figlio con quell'inopportuno metro.

Eppure, già dalle primissime inquadrature, c'è un segnale chiarissimo relativo al filtro attraverso cui intendere il film: Alfredo Castro, l'attore cileno di Tony Manero e Post Mortem. Il nuovo film di Ciprì va infatti visto come fosse un film di Pablo Larrain: un resoconto puntuale e narrativamente arguto su una piaga storico/antropologica della propria nazione (guardata attraverso il consueto filtro metonimico siciliano), indagata dal punto di vista delle dinamiche libidinali che essa mette in gioco.

Una famiglia siciliana a cui viene promesso dallo Stato un risarcimento dopo la morte accidentale/mafiosa della figlioletta, la dilazione del quale però crea una catena di eventi farseschi che si terminerà (ci viene detto proprio in apertura) con il padre ucciso dal figlio. La storia, raccontata come un unico lungo flashback da un enigmatico narratore che troviamo già nella prima scena in un ufficio postale, è puntellata di tocchi surreali e di parentesi sopra le righe. Intermezzi musical, perfino. Insomma: il film è una commedia e reca sulle sue pelle gli eccessi di tono tipici di quel genere.

Quando però il flashback termina, il film vero e proprio, per così dire, comincia, e attraverso una geniale torsione narrativa ridefinisce retroattivamente quanto abbiamo appena visto come non una commedia, ma una meta-commedia, un film sulla commedia come aspetto quintessenziale del “carattere nazionale” (qualunque cosa esso sia). La commedia è infatti il luogo dell'innocenza generalizzata (naturalizzata) quale superamento/estremizzazione della Colpa tragica. E la piaga intrinsecamente italiana che Ciprì vuole che noi torniamo a guardare in faccia, è la tendenza a generalizzare qualunquisticamente l'innocenza estendendola a tutto e a tutti, solo per rimuovere l'intollerabile trauma che noi stessi in prima persona siamo innocenti – rimozione senza la quale risulterebbe insostenibile il primo e ultimo comandamento della nostra etica nazionale: una mano non deve sapere quella che l'altra fa.

è stato il figlio è insomma un clamoroso sforzo terapeutico e illuministico (atteso da decenni nel nostro cinema nazionale, dopo che il thriller politico aveva gloriosamente dimostrato tutto ciò già negli anni Settanta) per restituire alla luce e alla consapevolezza quel nodo che stringe insieme commedia e tragedia, colpa e innocenza, un nodo la cui rimozione ha provocato a mo' di disfunzione collaterale una sorta di Colpa Infinita che attanaglia e immobilizza tutto e tutti. Una disfunzione di cui gli eccessi della commedia, percepibili non solo sulla pelle dei film ma anche sulla vita sociale tutta intera, sono solo il sintomo più visibile.

È importante, insomma, che lungo tutto il film lo spettatore si imbarazzi per tutte le tirate grottesche di cui Ciprì fa sfoggio, e che subisca catarticamente il rovesciamento finale, che diagnostica con impressionante precisione le ragioni profonde e pressoché antropologiche di questo imbarazzo.

 

10:09:2012

prima pubblicazione festival di venezia  2012

è stato il figlio

Italia  2012, 90'

DUI: 14/09/2012

Drammatico