
Ogni tanto torna la voglia di uno di quei vecchi film di spionaggio che,
pur essendo tali, si rivedono sempre volentieri: più per le atmosfere
che per l'intreccio vero e proprio, incapace, come è ovvio, di
reggere ad una seconda visione.
SPY GAME è proprio questo: la summa e l'aggiornamento di molte
pellicole, partite soprattutto negli anni '70 e oggi diventate cult. Cambiano
ovviamente i tempi perché la Storia non è più la
stessa, e anche se siamo al cinema (il luogo della finzione) non ha più
tanto senso occuparsi di guerre fredde o cose simili. E allora l'idea
è quella di costruire la trama partendo dalla CIA per rimanere
però dentro alla CIA: narrare di un vecchio agente ai margini della
pensione - espediente più che classico - alla strenua difesa di
un suo discepolo (Brad Pitt), cui la casa madre intende riservare un destino
di morte pur di salvare nome e cariche.
Cambiano i temi ma non gli interpreti: Robert Redford è ancora
lì, un po' incanutito a dire il vero, ma sempre credibile nelle
sue giacche di lana grezza. Più furbo del sistema, del quale conserva
solo i vecchi valori, e fra tutti quello della fedeltà.
L'idea è buona, ma un po' flebile per riempire di sé le
due ore canoniche di pellicola. Seconda trovata: rifarsi al passato del
genere spy-story attraverso tutta una serie di flashback (tra cui perfino
uno in Vietman, dove la giovinezza di Redford lascia, con eufemismo, un
po' a desiderare) che fanno passare il tempo, giustificano l'amicizia
tra i due e danno una bella spolveratina a tante vecchie e buone ore di
cinema. Non manca poi la storia d'amore: il classico punto debole della
spia bella e tenebrosa.
Niente di male in tutto ciò: in fondo, quello di SPY GAME (titolo
piuttosto accattivante, con un che di "riassuntivo" di tanti
altri) è forse l'unico espediente possibile per ripetersi senza
dar troppo nell'occhio e - cosa più importante - divertire lo spettatore.
Alla fine dei conti, per un film così, lo scopo è solo questo.
La sceneggiatura, dunque, è piuttosto solida: qualcosa va meno
bene a livello di regia. Tony Scott ha spaziato - un po' come il fratello
Ridley - in molti tra i filoni cinematografici del cinema USA, senza troppe
velleità autoriali, ma con risultati spesso più che dignitosi.
Titoli quali MIRIAM SI SVEGLIA A MEZZANOTTE, a suo modo lo stesso TOP
GUN, il tarantiniano UNA VITA AL MASSIMO, THE FAN con De Niro nonché
l'ultimo NEMICO PUBBLICO sono indice di un cinema solido, per quanto a
volte un po' privo di una chiara personalità. Problema più
che evidente anche qui, dove - senza motivazioni apparenti - Scott, si
lascia ad esempio un po' andare a soluzioni senz'altro molto trendy (almeno
da SEVEN in poi), ma completamente avulse dallo spirito e dalle atmosfere
necessarie al film e per il resto ottenute con professionalità.
Voto: 27/30
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