
Gregg Araki, ovvero come può l'opera di un regista essere riassunta con
una quantità di termini alla moda (POST, PULP, PUNK, TEENAGE, FUCKED OFF,
GENERATION X, ECSTASY, etc.), che dovevano rendere l'idea, forse meglio
delle immagini, di un cinema generazionalmente senza scampo (nel messaggio
"nichilista" e negli esiti espressivi vincolati ad un codice kitsch e
improvvisativo).
Dai tempi degli esordi, però, Araki ha, paradossalmente, abbandonato la
rabbia giovane, che aveva fatto di DOOM GENERATION un film "CULT" (ahi…),
mettendo in atto un processo che lo allontana da una possibile maturazione.
Come spesso accade in questi casi, la voglia d'integrazione - appena un
pochino - nel sistema delle major, le necessità di sopravvivenza materiale
e quant'altro, hanno portato il regista a dimenticare la cattiveria e
gli eccessi iniziali, per produrre una storiellina già vista in altre
forme (e soprattutto altri generi).
Fingendo di rigettare il modello di vita proposto dal personaggio del
produttore cinematografico post-yuppie impersonato da Eric Mabius, in
realtà metabolizza l'intera Beverly Hills coi suoi miti più o meno decostruiti
(si pensi al precedente ECSTASY GENERATION) e mira, in definitiva, a rimanere
nell'ambito dei messaggi universalmente rassicuranti (siamo tra scapoli
con bebè e "laureati" hoffmaniani).
Un triangolo amoroso inizia seguendo un percorso spericolato, ma presto
si tenta di incanalarlo in un'impossibile convivenza con tanto di neonato
in arrivo. Veronica, Abel (un irriconoscibile Johnathan Schaech, attore-feticcio
di Araki) e Zed sono tutti senza lavoro o precari e, soprattutto, non
fanno nulla per cambiare la situazione, cullandosi nella (in)stabilità
di un rapporto che esiste solo al ritorno a casa, con inevitabile sesso
"allargato". Ernest (il produttore) è la variabile che porta stabilità
nella vita di Veronica e la divide dal gruppo,con pene d'amore infinite
per gli altri due, che invece di concedersi a nuove avventure si trasformano
in improbabilissimi "casalinghi" dalle sfumature omosex.
Per essere brutali, non sappiamo dire chi, tra tutti, è più (letteralmente)
"coglione", dal momento che lo stesso Ernest confeziona per la sua bella
una vita di ridicola beatitudine, tra weekend esotici e repentine promesse
di matrimonio (qui riaffiora appena il caustico Araki del film precedente).
Se per nichilismo si vuole intendere questo, meglio il finale di DOOM
GENERATION che quello di SPLENDIDI AMORI, dove Zed e Abel interrompono
l'atto nuziale tra gli altri due con poco coinvolgente zelo.
Molte sono le situazioni e le scene che il regista avrebbe girato diversamente
anni fa: dal concerto punk all'inizio della pellicola, ai "quadretti"
di sesso in comune (li immaginiamo "un po' più" camera a mano, un po'
più virati su cromatismi accesi, un po' più torbidi e insistiti). Dimentichiamo
la Rose Mc Gowan di DOOM GENERATION e accontentiamoci di questa Kathleen
Robertson, costretta, nei dialoghi diretti con lo spettatore, a fare il
verso alla Kidman di TO DIE FOR (non a caso di GUS VAN SANT, altro ex-indie
emarginato passato al grande capitale delle majors e, ora, completamente
integrato: WILL HUNTING, PSYCHO…), ma con ben diverso piglio e cattiveria.
Voto: 26/30
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