
"Welcome to the
United States. Almost." Così Dixon, capo della sicurezza del JFK, introduce
Victor Navorski alla sua bizzarra prigionia all'interno dell'aereoporto. Gli
Stati Uniti come anticamera (l'aereoporto), e dunque il consumismo come
eterna promessa di soddisfazione mai soddisfatta, sostituzione della vita
attraverso il suo simulacro. Trionfo del CHIUSO spazio aeroportuale, e di
una sceneggiatura addirittura blindata seguita però in modo così aderente e
ossessivamente diligente da far sbattere lo spettatore addosso alla
diabolica perfezione iper-controllata del testo, e metonimicamente alla
segregazione subdola che è il nostro iper-sorvegliato presente, in un urto
veramente vitale.
L'aeroporto straborda di negozi, di merci. è un unico grande feticcio in
miniatura della società che sta fuori. Victor, cittadino dell'immaginaria
Krakhozia, diventa apolide perché durante il volo il suo stato viene colpito
da una guerra civile e il governo USA non lo riconosce più. Ergo, non può
uscire dall'aereoporto. Non gli Stati Uniti, la terra promessa dove, lo dice
Victor stesso, ogni cosa ha il 50% di possibilità di riuscire, ma sempre
costantemente la loro copia, il loro simulacro (l'"ipermercato"
aereoportuale). Non il cittadino che sottostà a un potere, ma un senza
patria contro una Legge (al di sopra dei suoi stessi rappresentanti, come
nota il superiore di Dixon) invincibile perché come in
Minority Report
prevede le sue mosse dei soggetti e prescrive e preordina le stesse
opportunità di trasgressione. E soprattutto, ha gli occhi sempre puntati.
Victor si salverà creando un ulteriore mini-mondo solo suo, costruendo nel
non-luogo aeroportuale senza spazio, dunque) uno spazio "suo" (anche se in
un luogo non suo), estendibile in una serie di decisive relazioni amichevoli
col personale del terminal. L'amore con la bella hostess sempre in fuga da
tutta lo aiuterà a fuggire ma a prezzo dell'amore stesso: troverà gli USA
nell'ingegnoso finale imparando a muoversi nel mondo del falso valutandolo
per ciò che è.
La prima parte spinge a fondo sul comico, continue gag incentrate sulla
paradossale interazione obbligata tra un non-soggetto senza patria e dunque
senza identità, e un non-luogo. Poi il registro invece di cambiare viene
scientemente smarrito: le carte vengono scombinate e mescolate (scorrono
parallele le storie della hostess, degli amici inservienti, dell'opposizione
impossibile con l'autorità), in modo che nessuna prevalga. Così, non c'è più
una storia da portare alla fine, ma un non-soggetto che si lascia
sballottare dall'uno o dall'altro legame sociale. Certo, dopo i fuochi
d'artificio della prima ora la seconda così strutturata può lasciare
amareggiati, rimane comunque una forte parabola sul nostro presente
iper-sorvegliato, sottilissima e complessa.
Voto: 27/30
01/09/2004 |