
Una Londra semideserta, anno 1980. Una pioggia battente. Una valigia di
cartone.
Un foglio di carta intestata e l'indirizzo di una certa signora Yvonne
Wilkinson.
È la direttrice di una casa-famiglia per malati mentali.
Il proprietario della valigia, protagonista della scena iniziale e di
tutta la storia, è Dennis Clegg, trentenne, malato di schizofrenia,
appena uscito dal manicomio e nuovo ospite dell'istituto.
Il tentativo di reinserimento nella società si trasforma per Dennis
nell'abbandono delle cure medicinali, in lunghe ore di solitudine e di
isolamento. Parla poco, mormora qualche parola di tanto in tanto, si muove
lentamente. I suoi silenzi, le sue "assenze", il grigiore che
lo avvolge, sono al centro di inquadrature lente, misurate, essenziali,
il più delle volte ferme, fisse come lo sguardo di Dennis, spogliate
di ogni appiglio di concretezza, racchiuse in un'angusta camera da letto
o proiettate nell'acqua rugginosa di una vecchia vasca da bagno. Sequenze,
spezzate a volte dalla dirompente presenza della direttrice dell'istituto
o alternate dalla compagnia di Terrence, un personaggio contrapposto e
quasi da sfondo alla nuova esistenza di Dennis: anziano, anche lui affetto
da qualche patologia mentale, che si difende dall'abbandono di sé
e dalla solitudine grazie ai viaggi che, trainato dalla sua fantasia e
da un probabile National Geografic, crede di aver fatto in giro per il
mondo.
Il viaggio, dunque. Tema costante che Cronenberg propone nelle sue varie
sfaccettature (non a caso nella scena iniziale del film c'è una
valigia...). Una di queste è quella più strettamente psicologica
di Dennis, che in un gioco-trappola di allusioni, associazioni mentali,
possibili incongruenze e sconvolgimenti emotivi, si trova a ricostruire
la sua vita, quando aveva dieci anni. Con la memoria ritorna al periodo
in cui "vide" il padre uccidere la madre, per poter vivere con
una prostituta: quando, temendo di esser fatto fuori anche lui, tentò
di ucciderli attraverso le esalazioni del gas della cucina.
Alla base di questo "gioco-trappola" striscia il labile confine
fra memoria e follia, fra realtà e fantasia psicotica. Non è
affatto semplice comprendere quanto ogni cosa sia accaduta davvero, e
fino a che punto quei personaggi siano concretamente esistiti all'interno
della narrazione.
Nel vedere avanzare, verso il podio del vincitore, la pazzia, fanno da
testimoni un paio di scene che raccontano la demistificazione dell'immagine
della mamma: Dennis una sera, per caso, vede la madre scambiarsi effusioni
con il padre ed una mattina la trova davanti lo specchio, mentre si prova
una sottoveste da notte, e sentirle chiedergli se il padre la apprezzerà.
Anziché odiare la figura paterna, come vorrebbe la più antica
delle tradizioni freudiane, Dennis lo trasforma in colui che poi ucciderà
la madre per sostituirla con una prostituta.
Questa da me proposta, non è altro che una delle tante interpretazione
che si possono dare all'opera cronenberghiana. Lo stesso regista ha ammesso
che "una volta capita e accettata la premessa del film, ci si rende
conto che non c'è una verità oggettiva possibile al suo
interno", che Spider è "un film che si occupa della psicosi
e della ricostruzione della realtà , ...del processo in corso di
ricostruzione della realtà", "uno psicodramma austero
con al centro un mistero profondamente umano. E' Samuel Beckett che si
confronta con Freud".
Potremmo aggiungere, Spider: un film quasi estraneo alla cinematografia
di Cronenberg; un romanzo che Patrick McGrath ha scritto e riadattato
per il grande schermo; un progetto fortemente voluto ed egregiamente interpretato
da Ralfh Fiennes.
Spider: un vetro ridotto in frantumi, da ricomporre pezzo per pezzo e
da cui osservare la realtà, frammentaria e labirintica, quanto
la mente e la memoria umane.
Spider: una ragnatela di ricordi, emozioni, rancori ed affetti, intrecciati
e annodati gli uni altri, a cui è facile aggrapparsi per sopravvivere,
ma che può intrappolare a tal punto da impedire di vivere.
Voto: 28/30
Link:
www.spiderilfilm.it
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