
Primo capitolo di una trilogia sulla
storia della Grecia e dell’Europa del novecento. 1921: la comunità greca di
Odessa, che durante la Rivoluzione d’Ottobre si era schierata dalla parte
dei russi, è costretta al rientro in patria dall’intervento dell’Armata
Rossa. Alcuni anni dopo due giovani, figli di quegli esiliati, scoprono di
amarsi, e per sfuggire al padre di lui, che vorrebbe la ragazza per sé dopo
la morte della moglie, abbandonano il piccolo paese dove sono cresciuti alla
volta di Salonicco. Qui il ragazzo proverà a guadagnarsi da vivere suonando
la fisarmonica in una banda, ma gli sconvolgimenti politici del paese e la
miseria diffusa ovunque lo spingeranno a cercare fortuna in America, dove,
allo scoppio della seconda guerra mondiale, si arruolerà nell’esercito. Nel
frattempo, i due figli della coppia si ritroveranno l’uno contro l’altro
nella guerra civile che dividerà la Grecia fino al 1949.
Dopo la storia agonizzante di fine secolo, mastodontica statua in frantumi
de Lo Sguardo di Ulisse,
Anghelopulos torna alle ribollenti radici dei malesseri novecenteschi. E
ancora una volta è proprio nella rappresentazione della Storia - mostro
titanico e invisibile che bracca gli individui, bussa alle loro porte e
invade le loro case - è in questa felice dimostrazione di una rinnovata vena
visivionaria, che il cineasta greco trova quelle giustificazioni sempre
necessarie ad un cinema per molti versi estremo come il suo, spesso
(soprattutto di recente) in bilico fra sincerità e maniera; ed allora
l’attenta composizione dell’immagine e l’artificio interpretativo,
brechtianamente cercato, si fanno simbolo, la lentezza si fa meditazione, il
silenzio si tramuta nel respiro di un tempo che scorre maestoso come il
fiume che traghetta i destini dei personaggi, e pur fra mille suggestioni
pittoriche e teatrali, la cinepresa si muove con la solenne disinvoltura
d’un Dreyer, donando una difficile compostezza all’intero film, e facendo di
esso un’opera assolutamente cinematografica.
Certo, quando ci si affida ad un repertorio espressivo così antirealistico
poi non è facile trasmettere emozioni che superino il piano metaforico, e
quando le strade dei due protagonisti si separano, rompendo il perdurante
quadro di partenza, ci si accorge di non essere mai stati troppo coinvolti
dalle loro vicende, anche perché le continue dilatazioni hanno finito per
togliere spazio ai nodi narrativi delle storie individuali (l’innamoramento
dei due giovani, la figura del padre del ragazzo, la crescita e la
formazione politica dei figli ). Niente di involontario, è chiaro, ma se
stavolta Anghelopulos rinuncia agli andirivieni temporali per un racconto
lineare, al piano mitologico e filosofico - che dai tempi de
La Recita non è più riuscito
a concatenare perfettamente a quello storico-oggettivo - allora non può
sottrarsi alla tradizione dell’affresco, del romanzo popolare, e sul terreno
del melodramma arriva col passo pesante dell’intellettuale, dipingendo
caratteri e stati d’animo che rimangono in superficie.
Su questo punto, comunque, è giusto non sbilanciarsi troppo, e sospendere
ogni giudizio in attesa dei prossimi due capitoli della trilogia.
Voto: 24/30
21.04.2004
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