SOOCHWIEEN BOOLMYUNG
di Kim Ki-Duk
con Yang Dong-Kun, Kim Young-Min e Ban Min-Yung

Il film di Kim Ki-Duk muove alla ricerca di un tempo perduto, il tempo della spiritualità e della cultura di un popolo ormai alla deriva degli eventi storici. Soochwieen Boolmyung, tradotto in italiano con inidirizzo inesistente, racconta la triste realtà di una piccola comunità coreana depressa e isterica, i cui membri errano raminghi senza coordinate morali e valori radicati nella storia e nella cultura del paese. I tre protagonisti della storia sono Chang-Guk, figlio illegittimo di una coreana e di un soldato americano, Jihum, figlio di un reduce della guerra di Corea e Eunok, una timida studentessa che ha perso un occhio da bambina durante imprudenti giochi con il fratello. In realtà i tre personaggi non si staccano granchè al di sopra degli altri nella gerarchia del collettivo attoriale cosicchè la loro importanza come protagonisti appare più evidente soltanto verso la fine quando il percorso narrativo sembra comporsi in un qualche senso compiuto: nello sviluppo del film gli eventi sono lasciati un po’ a se stessi e procedono con una lentezza fastidiosa proprio perché stentano ad incanalarsi in un processo evolutivo dei fatti senza, per contro, caricarsi di valori "altri". Quello che fuoriesce dal complesso del racconto è il senso di uno smarrimento di radici culturali che vengono solo inefficacemente sostituite col "sogno americano". L’indirizzo inesistente del titolo è l’indirizzo del padre di Chang-Guk, che di tanto intanto invia lettere di saluto o di cortesia alla madre del ragazzo senza specificare i dati del mittente; la vita di questa donna si svolge tutta nell’attesa di un ritorno del principe azzurro, che arrivi e la porti via dalla squallida realtà della loro cittadina e della loro vita (Chang-Guk e sua madre vivono in una specie di furgone alla periferia della cittadina), attesa di un evento che non si verificherà mai e di un uomo che esiste soltanto nelle parole scritte sui fogli di carta delle epistole. Eunok rinuncia all’amore povero di Jihum e si concede invece ad un soldato americano in servizio sul posto che le regala la guarigione dell’occhio e la riempie di doni e sfizi.
I rapporti all’interno dell’aggregato sociale sono trattenuti sul filo di una tensione che esplode non di rado in violenza gratuita: Chang-Guk picchia sua madre che a sua volta si azzuffa con le altre donne del villaggio, il fidanzato della donna picchia Chang-Guk quando alza le mani su sua madre, Jihum è perseguitato da due bulletti di quartiere che pestano e lo derubano all’ordine del giorno. Particolarmente forte è la pratica del macello dei cani, che vengono appiccati ad un cappio e bastonati. Questo espediente metaforico vuole rappresentare con efficacia uno stato di agitazione, un impulso sempre imminente alla violenza che sottende un profondo disagio esistenziale e morale, all’interno del quale trova spazio la nostalgia, un po’ romantica, un po’ utopistica, di un sentire collettivo perduto nella storia. L’ultima violenza di Chang-Guk sulla madre, il tentativo di asportarle il seno con un coltello, diventa la disperata degenerazione di un bisogno urgente: quello di rompere i legami vitali con una cultura madre che ha smarrito se stessa e si proietta in modo indignitoso, oltre che illusorio, verso il parassitismo di un patrimonio estraneo. Il modo americano è altro rispetto al bagalio coreano e la Corea deve ritrovare la strada verso il recupero della propria coscienza, fatta di sentimenti semplci, come quello di Jihum per Eunok, di orgoglio patriottico, come il padre di Jihum che ostenta fiero la sua medaglia al valor militare, e di amore tra padri e figli, come quello tra Jihum e suo padre che si costituiscono alla legge per scagionarsi a vicenda.
Il coinvolgimento della presenza americana in Corea non è funzionale ad una critica o una denuncia contro la particolare contingenza storica, né una condanna del modo di fare americano, ma un semplice pretesto narrativo, ispirato durante la visita del regista alle basi NATO, per intessere una storia sulla crisi in cui versa il popolo coreano.
Troppa retorica si snoda nelle maglie del molodramma su cui è impostato il film e pesa invece la mancanza di spunti di tenerezza, si quella spiritualità dovrebbe essere evocata, suggerita, tanto da imporsi fortemente al desiderio nel contrasto con la brutalità della situazione descritta.

Voto: 24/30

Mirco GALIE'
31 - 08 - 01


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