sonchidi

di Amit Dutta

con Nitin Goel, Gagan Singh Sethi

  di Marco Grosoli

 

27/30

 

Giovane cineasta che ha firmato negli ultimi dieci anni una dozzina di sbalorditivi cortometraggi e un paio di lungometraggi altrettanto potenti sul piano pittorico, Amit Dutta firma stavolta poco più che un'opera di transizione.

Il suo digitale rinuncia parzialmente alle armonie grafiche “estreme” che contraddistinguono le sue inquadrature, e si mette al servizio di una storia sospesa tra passato e presente, in cui rimangono incastrati due uomini che gironzolano prima nei pressi di un antico palazzo, e poi nei suoi corridoi. Una ragnatela narrativa si dipana di ripetizione in ripetizione (un po' alla L'anno scorso a Marienbad, per capirci) in modo non sempre facile da seguire. Anzi. Ad ogni modo, tra quel po' che rimane nella testa dello spettatore, c'è che il luogo esplorato dai due è anche il luogo della loro infanzia, che un ingegnere pazzo vuole costruire un'astronave capace di portarlo lontano dalle cose umane, e che invece i due protagonisti, come tutte le cose umane, si “museificano” collocandosi dentro la casella che assegna loro il concorso delle circostanze, sopra le quali si stagliano nella loro singolarità come né più né meno che opere d'arte viventi. Reinquadrati nel finale entro il rettangolo di una finestra aperta (come spesso Dutta ama fare), diventano una delle opere d'arte di cui il prefinale è un'enigmatica carrellata.

Nel complesso, e al di là di alcuni snodi poco comprensibili, il digitale di Dutta sembra qui “fiutare” uno dopo l'altro (anche in colonna sonora, perlopiù un enigmatico collage di echi fuori sincrono di cose che si vedono in altre parti del film) pezzi di un puzzle che solo alla fine riusciamo a comporre, ma conservando il dubbio che qua e là potremmo avere in realtà incastrato pezzi girati alla rovescia. Un alveare, un bosco, ricordi che riaffiorano da un nastro registrato... Il grandangolo (col suo effetto notoriamente “inglobante”) e l'enfasi sui tratti materialmente percorsi dai passi dei due protagonisti (come nella lunga carrellata a precedere che li inquadra mentre camminano più e più volte lungo l'intero corridoio che perimetra e circonda il palazzo) ci suggeriscono che in questo (come in qualunque altro) spazio narrativo, prima ancora di capirci qualcosa, bisogna starci, bisogna farsi catturare dall'enigmaticità dei suoi segni (rispetto a cui la sensibilità di Dutta è ancora intatta) prima di realizzare che si è da sempre destinati a una casella all'interno di quel sistema.

 

09:09:2011