shutter island

di Martin Scorsese

con Leonardo DiCaprio, Mark Ruffalo
Altri interpreti: Ben Kingsley, Max von Sydow

di Marco GROSOLI

 

27/30

 

Molto presto, l’isola del titolo fa intendere a chiunque osi avventurarcisi “lasciate ogni speranza, o voi ch’entrate”. Ancora prima, però, lo spettatore deve abbandonare la speranza di trovarsi davanti lo Scorsese che si aspetta lui, quello magniloquente dei vari Goodfellas, Casinò e quant’altro. E deve cacciarsi in testa una volta per tutte, se non lo ha già fatto, che da svariati anni (almeno da Gangs of New York) il regista new-yorkese è entrato in una fase nuova, e non meno interessante. Come in certi magnifici relitti malavitosi al crepuscolo (che lui stesso ha messo in scena più di una volta), la vitalità onnivora e senza freni ha fatto spazio a una perplessa interrogazione sul senso di tutto questo. Conviene prestargli ascolto, come si dà ascolto a chi ha più esperienza di noi.
Anni Cinquanta. Teddy Daniels, agente federale, arriva con un collega sull’isola di Shutter, sede di un manicomio all’avanguardia e di altissima sicurezza, per indagare sulla scomparsa di una paziente. Ben presto il quadro si allarga, fino a comprendere tutto e il contrario di tutto: nazismo, anticomunismo, biopolitica. Incluso, naturalmente, lui stesso.
Di più, non si può svelare. Non perché non si possa anticipare la “soluzione della trama”, ma perché non ci si può illudere di venire a capo di un virus che, sempre è comunque, viene prima di noi. Bisogna passarci dentro; bisogna passare attraverso infinite contorsioni narrative che non finiscono mai di avvolgersi su se stesse e di rianagrammarsi (ops! Spoiler).
E soprattutto, bisogna scontrasi con la nostra immagine riflessa, ovvero con un Di Caprio che Scorsese continua ad inventare e plasmare film dopo film, come un ex leone della malavita alleva un pupillo sapendo già che lo tradirà (come già fece De Niro, del resto). Come già in Revolutionary Road, Di Caprio incarna fisicamente la rabbia selvaggia impotente di dover combattere con un nemico che non si vede, e di doversi accontentare di fare a cazzotti con l’aria.
Perché questo nemico che non si vede è la propria immagine. È il frame, la cornice, il quadro che comprende il soggetto che crede di poterlo dominare e maneggiare da fuori e dall’alto. E allora il soggetto si dibatte come un insetto; la regia non può che guardarlo, da lontano, con una sinistra compiacenza. Che non è quella di Kubrick per le sue cavie da laboratorio (Cruise su tutti in Eyes Wide Shut) sottomesse alla logica implacabile dell’inquadratura perfetta. È la sorda diffidenza che filtra una retorica visuale come sempre di altissimo livello; una strana diffidenza strisciante che avevamo già intravisto in Aviator e che si tiene sempre un passo al di qua dal “dare di matto”; l’inquadratura di questo ultimo Scorsese non è Il Destino, come in Kubrick, ma è la perplessità con cui si guarda chi sarà, è, ed è già stato, condannato dal Destino a coincidere con l’immagine che è, nonostante faccia di tutto per scrollarsela di dosso.
Fateci caso: poco prima della fine, a un certo punto saltano fuori delle foto di alcuni bambini morti, in primissimo piano. Ebbene, quasi tutto il film è girato esattamente come quelle fotografie. Non deve essere facile allevare un pupillo che è già morto, anche se non lo sa.
 

20:03:2010

shutter island
Regia Martin Scorsese

Stati Uniti 2010, 138'

DUI: 05 marzo 2010
Medusa
Thriller