
La guerra a colpi d'incassi che la Dreamworks ha ingaggiato contro la
storica Disney dal menagement di mercato si internalizza nel tessuto del
testo filmico. Tutta la sceneggiatura di SHREK, infatti, pare impostata
sull'intenzione di decostruire gli stilemi della favola proponendo come
eroe un disgustoso orco verdastro, sgraziato e puzzolente e come principessa
una soave fanciulla esperta in arti marziali, che col calar del sole si
deforma e si ingrossa. La scelta dei protagonisti potrebbe sembrare semplicemente
ispirata a un più moderno schema di sperimentazioni narratologiche che
conta sul potere di seduzione di un eroe grottesco, un antieroe, in alternativa
al "kalòs kai agathòs" delle formule tradizionali: una soluzione narrativa
questa, che è arrivata anche ad Hollywood sebbene con ritardo rispetto
al corso della letteratura d'occidente. In realtà, invece, il lavoro è
assai più rigoroso e il ribaltamento della fiaba si fa programma esplicito
divenendo l'asse portante su cui ruota l'intera storia e sviluppandosi
su diversi piani. Il primo è quello di cui si è già detto, ovvero la scelta
di eleggere come protagonista una figura pescata nel repertorio dei mostri
oscuri della tradizione favolistica e mitologica, che nell'immaginario
della cultura popolare è identificato nello squartatore dei corpi sacrificali
e nel mondo favolistico riveste solitamente il ruolo di bestia da combattere.
Il secondo piano è quello su cui si innestano i motori 'morali' dell'azione:
l'orco si imbarca nella eroica impresa non per un ideale d'amore o un
epico senso del dovere ma per il tornaconto egoistico di recuperare all'intimità
la sua fetida palude, dove vive tra il letame e la solitudine; la principessa
cerca il vero amore solo per rompere l'incantesimo e riappropriarsi in
maniera definitiva della bellezza, una qualità che nella fiaba tradizionale
è condizione indispensabilmente presente ma vissuta con implicita negazione
e mai intenzionalmente perseguita. Il terzo piano riguarda il comportamento
dei personaggi delle fiabe disneyane, visibilmente orientato alla inversione
del loro valore tradizionale: Geppetto che vende Pinocchio, il cadavere
di Biancaneve che viene "dissacrato" dalla cinica esortazione dell'orco
("via da qui la ragazza stecchita"), Robin Hood e la sua banda messi al
tappeto dalla bella, ecc... Del resto il loro stesso inserimento come
personaggi all'interno dell'economia narrativa non ha altra funzione se
non quella di rimandare ad una riciclaggio in chiave esplicitamente dissacratoria
della fiaba attraverso la decontestualizzazione del loro carattere iconico.
Il quarto piano, infine, è quello più epidermico, più ostentato,
quello che attraverso articolazioni didascaliche impostate sulla reiterazione
continua del "non è così che dovrebbe essere", gioca a precludere ogni
altra lettura diversa da quella del ribaltamento del copione canonico
e rende la chiave interpretativa assolutamente esplicita (anche troppo,
ma gli eccessi non sono una novità nella maniera di certo cinema rivolto
a cervelli che funzionano in codice binario a sole due opzioni: 0 e 1,
privi della capacità di cogliere sfumature nelle pieghe del testo).
Un aspetto che si fa apprezzare in SHREK è la presenza di spunti volti
alla rivisitazione ironica del mondo dello spettacolo e della comunicazione
televisiva: lo specchio magico che propone le sue opzioni col tono di
una televendita, o quella specie di gobbo al contrario che istruisce
gli spettatori della scena sui gesti da eseguire ("applause, laugh, ecc...).
In realtà però, queste parentesi umoristiche più che una parodia in senso
critico contro la pecoraggine del pubblico passivo risuonano come espedienti
senza alcuna pretesa riflessiva. Siamo lontani dalla satira corrosiva
de "I Simpsons" e molto più prossimi, invece, alla semplicità giocherellona
di un cabaret per bambini.
Nel tessuto del racconto trovano anche spazio, sapientemente inserite,
citazioni cinematografiche che vanno da MATRIX, nella performance atletica
della principessa tra gli scagnozzi di Robin Hood, a LA STORIA INFINITA,
nell'immagine dell'asino che solca i cieli in sella ad un drago dal muso
canino.
Forse la scelta narrativa più audace è quella di risolvere la vicenda
nella
costituzione di una coppia "orrenda" ("e vissero felici ed orrendi").
La trasforazione in orco della principessa è una svolta spiazzante rispetto
all'aspettativa di una soluzione che, come in LA BELLA E LA BESTIA o
ne IL GOBBO DI NOTRE DAME, riscatta la deformità fisica senza contaddire
alla necessità di perfezione estetica nell'ideale dell'eros: se c'è l'amore
ci deve essere comunque un bello.
Tuttavia, SHREK non è soltanto innovazione ed audacia narrativa.
Sebbene grossa parte della critica l'abbia osannato per le sue doti di
originalità tanto da inserirlo in concorso a Cannes, non si discosta poi
molto dallo stile cinematografco hollywoodiano. A parte il fatto che la
gradevolezza della storia si regge sempre e comunque sulla simpatia dei
persoaggi e conta sulla solita faciloneria di un umorismo folkloristico
ridondante, assolutamente classico nell'impostazione stilizzata a climax,
non mancano modelli di caratterizzazioni topiche come il compagno macchietta
(ciuchino), il salvatore che si innamora della salvata durante il viaggio
verso il committente dell'impresa, il gioco di equivoci che complica la
vicenda e rimanda la soluzione alla svolta finale, ecc... in altre parole
la produzione hollywoodiana è rimasta sostanzialmente coerente alla sua
poetica-non-poetica, limitandosi all'intuizione, commercialmente riuscita,
di sfruttare la carenza di idee come ispirazione per tentare una nuova
soluzione di mercato: dal momento che non hanno fantasia per inventare
nuove storie sono ricorsi alla ridicolizzazione gratuita delle vecchie
storie, quelle tradizionali, quelle che, tra l'altro, sono tra le poche
cose buone che la fantasia americana abbia generato. Ma il senso del cinema
come "racconta storie per pubblico da intrattenere" rimane inaltrato malgrado
la scelta di inveritre le articolazioni narrative; cambiando l'ordine
degli addendi il risultato non cambia: siamo sempre davanti ad un dramma
che corre superficialmente su un solo binario, dai cui elementi estetici
non fuoriesce altro che la superficialità di un racconto orientato verso
la sorpresa del finale, drasticamente alieno ad ogni scavo viscerale e
poetico. Il supermarket hollywoodiano, nella fattispecie della
Dreamworks, colosso del momento, ha perso un'altra occasione per
rivedere la sua poetica e concedersi alle potenzialità illimitate che
il mezzo cinematografico offre alla comunicazione con l'esperienza interiore.
Potenzialità tutt'altro che precluse al campo in crescente sviluppo dell'animazione.
Citare a questo punto il Linklater di WAKING LIFE, che coniuga in modo
magistrale la digitalizzazione dell'immagine con la poetica del road-movie
filosofico, può essere una forzatura, dato che è troppo audace il confronto
tra un genio della scuola wendersiana e imbonitori da fiera della scuola
Spilbelberghiana. Ma sia lecito almeno citare il Tim Burton di NIGHTMARE
BEFORE CHRISTMAS che con la sua capacità di dare un irresistibile
senso di tenerezza attraverso una estetica cupa e una drammaticità non
urlata ci insegna come il prodigio della tecnologia possa essere valorizzato
da una ricerca estetica che lavori sull'immagine in senso lirico e abbia
il coraggio di mettere in gioco quelle che sono le sicurezze limitanti
della grammatica cinematografica tradizionale.
Voto: 25/30
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