SHAFT
di John Singleton
con Samuel L. Jackson e Christian Bale



Cinema di colore nel senso di sovraccarico di dati riguardanti l'immagine. Blaxploitation nel senso di esplosione di esasperate forme di violenza relative al corpo visivo dei neri, depoliticizzato e decontestualizzato, che ora è solo un magma di violenza estetizzante ripresa in primo piano, inquadrata dal mantello in leather griffata di Samuel Jackson, laddove nel film di Gordon Parks [1971] tutto era ribaltato, poiché la violenza veniva dai luoghi e dalla loro capacità di nascondere e poi rivelare il senso di uno stato d'allerta sociale e di una lotta, dei quali Shaft-il-poliziotto era solo la facies dinamica lanciata per le vie di Harlem, e non un'ingombrante icona statica.
Detective movie? Piuttosto una rivisitazione accelerata di un modo di far cinema televisivamente inteso, dove il contesto appare orpello e subito assumiamo che è in atto una disputa molto manichea, molto poco sottile e anche stupidamente motivata -pochi insulti in un bar alla moda di Manhattan, frequentato da neri ricchi e con compagne bianche- tra il poliziotto a due passi dalla pensione e lo psicotico yuppie americano pescato direttamente dalle pagine di Easton Ellis [ma non è già un po' desueta o da reinterpretare questa figura di yuppie volgare a senza una stratificazione psicologica? non siamo più nell'89, anche nel tono degli insulti tra pezzi di società in collisione], anche nel senso che attraversa la pellicola un discreto Christian Bale purtroppo molto, anche nei vestiti, anni Ottanta.
John Singleton ha avuto ordini di nascondere tutto ciò che sarebbe antiestetico per il film, soprattutto la realtà di quartieri che non vediamo, letteralmente, ed è come se i due ingombranti protagonisti facessero a gara per mettersi tra noi e un mondo che sta dietro di loro: un po' come andare a Los Angeles e qualcuno ci impedisse una visita a South Central.


Voto: 24/30

Gabriele FRANCIONI
24 - 06 - 02


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