|
|||
Qualcuno l'aveva già annunciato: l'opera prima Sestry di Sergej
Bodrov Jr., è proprio come vorremo che fosse il cinema per l'infanzia.
Non si fraintenda: non siamo di fronte a un film infantile. Sestry ha
la straordinarietà di avere uno stile talmente semplice da diventare
elegante, una recitazione che nella sua sottigliezza stupisce infinitamente
più della coppia (a confronto quasi mélo) vincitrice della
Coppa Volpi, il tutto impregnato di quell'innocenza che caratterizza questa
favola moderna. L'incipit del film riecheggia vagamente Moskva di Aleksandar
Zeldovich, presentato alla Mostra l'anno scorso, ma qui Bodrov tralascia
(consapevolmente) la critica sociale, e sostituisce all'approccio socio-psicologico
di Zeldovich, uno quasi allegorico. La storia è quella di due sorelle,
la più giovane delle quali è figlia di un mafioso - quest'ultimo
abbozzato e tutt'altro che sorprendente - ennesimo neuveau riche della
Russia post-comunista, i cui creditori vogliono rapirne la figlia per
estorsione e che serve, come tutti i personaggi non protagonisti del film,
da sottofondo caricaturale per un racconto sul riavvicinamento di due
persone attraverso il condiviso superamento di un grave pericolo, così
come avviene nella migliore tradizione dei film sui pre-adolescenti. La
piccola, quotata sul milione di dollari, s'imbarca con la sorella maggiore
(tredicenne forte e matura quanto riservata e ferita, interpretata a perfezione
da XXX), sua inizialmente riluttante, ma poi sempre più determinata
protettrice, per una fuga che le porterà a violare case, a sfruttare
al meglio doti come quella di violinista (mendicante, per una banda di
zingari) o quella di tiratrice, e a imparare a superare le ostilità
e a prendersi cura l'una dell'altra, con una generosità pura, tipica
forse solo dei bambini. Muovendosi con ritmi contemporaneamente deliberati
e inchiodanti, il film segue una struttura fondalmentalmente da commedia,
quindi in ascendenza: da un'inizio claustr ofobico ed angosciante si passa
agli spazi aperti, a una Russia minacciosa, ma quasi sempre solare, in
cui ad ogni ostacolo corrisponde una possibilità, in cui è
il silenzio a trasformarsi e ad evolversi, mentre il parlare futile del
mondo adulto resta sempre immutato e rinchiuso in una stanza. Tant'è
vero che saranno i genitori, poi, ad essere imprigionati nel proprio appartamento
e sorvegliati dai mafiosi, e saranno sempre i genitori a rimanere esclusi,
irraggiungibili e immobilizzati dalla paura o, si direbbe, dal buon senso,
dalla prudenza, che impedisce loro di rispondere anche alle chiamate delle
figlie e li vede sempre subire, più o meno passivamente, mentre
le due protagoniste compiono le azioni. Azioni che, sviluppandosi a favola,
hanno delle conseguenze esaltanti e ovviamente inverosimili. Ma ciò
non toglie niente al messaggio di Bodrov, il quale colpisce con la forza
del racconto, a cui ogni altro elemento del film è sottomesso.
Il minimalismo stilistico, recitativo e dram maturgico di Sestry finisce
per svelare la sostanza della fiaba con lo stesso tocco di tenerezza che
sempre più viene sottolineato dalla solidarietà tra le due
protagoniste, e che finisce con l'avvolgere ogni inquadratura, evitando
così di farne delle amalgame incoerenti di emozioni confuse, al
più esaltate o represse, come è solito fare il cinema "per
adulti" che ha costituito la maggior parte del cartellone della Mostra.
Una piacevole alternativa, quindi, a tutto ciò, un film in cui
il silenzio ha potuto significare comunicazione anziché incomunicabilità,
in cui un rapporto è stato stabilito invece che fratturato, e pure
con una forza che viene retta e accettata, forse, molto più facilmente
dai bambini. |
|||
Tijana
MAMULA |
|||
|
|||