
Varcate le soglie del 2000 e alla luce di taluni più o meno recenti fatti
di cronaca la mostruosa macchina imprenditoriale di Hollywood non poteva
mancare l'appuntamento con il tema della clonazione, un tema che non solo
è particolarmente caldo, dibattuto, e sentito, ma che soprattutto offre
una grosso potenziale per lo sviluppo di elucubrazioni fantascientifiche
e fantasociologiche. Se da un lato le applicazioni della ingegneria genetica
suggeriscono all'immaginario spettacolari visioni iper-tecnologiche e
agevolmente si asservono alla costruzione ideale di mondi degenerati e
mostruosi, dall'altro, di rimbalzo, porgono materia prima per un ritorno
morale e sentimentale del racconto. Infatti la genetica si colloca come
un punto di svolta nel cammino evolutivo della cultura occidentale: i
percorsi apparentemente divergenti della ricerca scientifica e del pensiero
filosofico vengono qui ad impattare e si frangono in una confusione di
interrogativi e paure. In essa vengono a confluire due mostri sacri dell'antica
dialettica tra spiritualià, morale, per non dire religione, e pensiero
positivista: da una parte il sogno dell'uomo di non essere più soltanto
veicolo biologico di propagazione della vita, ma anche sommo artefice
e creatore della stessa, capace di scavalcare il limite dell'immortalità;
dall'altra il terribile presentimento che la liquefazione dei limiti spaziali
e temporali della morte, ormai unica certezza dell'esistenza, possa nullificare
il valore delle relazioni affettive e delle esperienze emozionali autentiche.
Del resto l'entusiasmante fascinazione del progresso tecnologico e il
terrore di un suo riflesso degenerativo e disumanizzante sono due aspetti
contrapposti che appartengono organicamente alla fantascienza come genere,
essendone forse il principale punto di forza. Per tutti questi motivi
il genere è stato ampiamente praticato ed abusato; da esso sono sorti
prodotti di qualità alta che, per il loro carattere pioneristico o per
esiti formali particolarmente felici, pur in una indubbia diversità hanno
segnato la strada maestra (METROPOLIS, BLADE RUNNER, 2001: ODISSEA NELLO
SPAZIO, SOLARIS, DUNE, FINO ALLA FINE DEL MONDO, ecc…), altri nei quali
la cifra dignitosamente spettacolare prevale su quella intellattualistica
(GUERRE STELLARI, E.T., JONNY MNEMONIC, MATRIX, ecc…) ed immancabilmente
molti altri che appaiono come tentativi più o meno rispettabili di sfruttare
la scia dei modelli commercialmente più riusciti, saccheggiando gli stilemi
di una formula di successo: effetti speciali in dosi massicce, storiella
sentimentale e riscontro moralistico di sicura presa.
IL SESTO GIORNO appartiene a questa terza categoria senza neppure spiccarne
particolarmente. La storia è informata alla variante forse più abusata
della formula: lo scienziato cattivo che pretende la scienza asservita
ai suoi deliri di onnipotenza; il supereroe bello, simpatico e coraggioso,
che lotta per la sua donna, o sua figlia, o la sua famiglia, o l'umanità,
non fa differenza; l'idea che la scienza può essere utile ma anche pericolosa;
e soprattutto il messaggio di conforto che vede i sentimenti sopravvivere
e prevalere su qualsiasi conquista tecnologica. Il finale, al solito,
è quello che favorisce l'immedesimazione del pubblico medio al protagonista
e la partecipazione al godimento di oltraggiare un presuntuoso cattivone,
il cui ruolo metafilmico è quello di evocare lo spauracchio di un annichilimento
dei valori affettivi.
I riferimenti sono numerosi, ma dipanarne l'intrico mi pare fuori luogo
e francamente molto poco interessante, data la mediocrità del materiale
di cui si tratta.
La base pseudo-scientifica su cui si regge l'impianto narrativo è abbastanza
sgangherata: i cloni prefabbricati con l'aspetto di embrioni giganti maturano
in copie perfettamente funzionanti nel giro di due ore attraverso un procedimento
di simil-morphing; il complesso di informazioni neuro-chimiche che definiscono
l'anima dell'individuo vengono trasmessi attraverso il nervo ottico; tutte
queste belle trovate paiono un tantino incoerenti con quelle che sono
le regole più elementari della genetica e della fisiologia, tanto da sollevare
il sospetto che chi ha partecipato alla stesura del soggetto non fosse
molto ferrato in materia.
La storia si sviluppa, come è prevedibile, attraverso sparatorie, inseguimenti,
esplosioni, acrobazie, battute umoristiche che decorano atti di coraggio,
colpi di scena, ecc.., ecc.. ecc..; L'inverosimile fa parte del gioco,
anche se non sarebbe sgradita la finezza di esibirlo in modo meno sfacciato.
Meno prevedibile è l'esito finale della vicenda: una volta che i due cloni
sono diventati amici e con successo hanno lottato per la stessa causa,
ci si aspettava che il clone copia realizzasse l'incompatibilità della
propria esistenza con quella dell'originale, e sacrificasse la propria
vita per non essere d'inciampo ai suoi rapporti affettivi e sociali, come
il "terminator" che si fonde nel magma incandescente perchè conscio di
costituire un pericolo per il genere umano…. invece il doppione se ne
va per mare, forte e fiero della sua umanità bellamente dimostrata sul
campo, diretto non si sa verso quale destinazione, per vivere non si sa
in che modo.
Lo stile di ripresa ed il montaggio sono i classici del genere "action"
dell'ultima generazione: inquadrature sghembe, linee inclinate, primi
e primissimi piani, ritmo serrato, attenta cura ad evitare come il veleno
le panoramiche e i piani-sequenza: quelli giustamente lasciamoli a chi
crede nel valore simbolico dell'immagine.
Rimane l'indiscutibile virtuosismo degli effetti speciali, che colpiscono
soprattutto nelle sequenze introduttive e benchè non distinguono particolarmente
questo film da tutti gli altri della sua stessa specie, confermano comunque
l'entusiastica laboriosità di una scuola di professionisti dall'abilità
ormai consolidata e dal talento in continua evoluzione.
Voto: 20/30
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