SENSO '45
di Tinto Brass
con Anna Galiena e Gabriel Garko



In un Venezia torbida e sibaritica degli anni quaranta la moglie di un alto papavero del partito fascista si invaghisce di un affascinante ufficiale delle SS e si lascia trasportare con lui in una deriva di perdizione dalla "forza anarchica e dirompente della passione". Nell'ultimo lavoro di Brass il laido risucchio orgiastico non esaurisce tutta la sostanza del film, che vive invece di una ricchezza di valenze insolite per un regista per cui "il bello per antonomasia" è "il culo di una donna". Il merito di questo sta forse principalmente nel capolavoro di Camillo Boito cui Brass si è liberamente ispirato rivendicando una maggiore fedeltà al modello rispetto alla precedente trasposizione cinematografica di Visconti, se non per la ambientazione e certi particolari anagrafici almeno per il profilo umano dei personaggi e il carattere intimamente carnale della vicenda. In effetti, è vero, si ripropone l'ennesimo apologo brassiano di una lussuria corpulenta e a tratti volgare, raccontata con inquadrature ginecolgiche e teatrini grotteschi di bordelli surreali direttamente trasposti dall'immaginario deviato di un risaputo cultore dell'adipe. Ma il vizio e le sue varie forme oltre che semplificati valori di una naturalità solare e rigogliosa come in altri film del nostro, vengono qui sentiti con un afflato più tenue come contrappunto alla malinconica atrocità della guerra. Il primo atto di passione tra i due amanti, è lacerato dalla vicenda di un brutale delitto nazista che si consuma tra i viottoli veneziani e la tragica disperazione di un bambino di fronte alla mamma stirata a terra da una pallottola. Una soluzione narrativa montata con efficacia, che rivela un volto più tenero rispetto ai falli artificiali di Paprika o agli starnazzi libidinosi sulla farina di Monella e, nonostante si giochi sul limite del patetico, ribadisce la genuinità di un autore che, aldilà delle questioni di gusto, riesce sempre a tradurre in immagini una sua particolare visione, corposa, lucida e coerente. L'avventura dei due amanti è vissuta, almeno nella prima parte, come una infatuazione adolescenziale che rapisce in un paradiso di "senso" e di emozioni, tanto più esaltante e penetrante, quantopiù distaccato dalla bituminosa squallidità di un aggregato umano viscido, putrido e subdolamente nichilista. Livia intravede un un uomo "tenero e indifeso da proteggere" sotto la divisa autorevole del gendarme nazista e Helmut, mentre penetra la donna "ubriaco del suo culo", con le spalle tagliate dalla luce calda di un crepuscolo veneziano rinnega la guerra, le istituzioni e la patria.
Una fotografia dalle tinte scure e la velatura violacea del bianco e nero che caratterizza il segmento temporale portante della struttura a macro-flashback, impreziosiscono una scenografia aristocratica e seducente dando al racconto un senso di suggestiva discrezione che odora di letteratura colta e di cupa parabola esitenziale. E la parabola esistenziale, col suo tratto discendente, si spinge più avanti, evolvendo in un finale tragico come si coniene ad una storia d'amore di gusto decadente, dove quel sentimento così sublime in cui ci si perde e in cui sembrano sciogliersi i rugginosi attriti di una quotidianità tediosa, mostra d'un tratto il suo lato oscuro e asimmetrico senza soluzioni edificanti e speranze consolatorie. Senso '45 è un film sul sesso e la carne, ma anche un film su un certo volto dell'amore dai risvolti amari, una storia sentimentale dalle pieghe pregne di lugubre inquietudine che nello scenario fantastico di una Venezia non poi molto lontana da quella appestata di Thomas Mann, procede lungo un percorso in caduta verso la morte.

Voto: 26/30

Mirco GALIE'
19 - 04 - 02


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