
In un Venezia torbida e sibaritica degli anni quaranta la moglie di un
alto papavero del partito fascista si invaghisce di un affascinante ufficiale
delle SS e si lascia trasportare con lui in una deriva di perdizione dalla
"forza anarchica e dirompente della passione". Nell'ultimo lavoro
di Brass il laido risucchio orgiastico non esaurisce tutta la sostanza
del film, che vive invece di una ricchezza di valenze insolite per un
regista per cui "il bello per antonomasia" è "il
culo di una donna". Il merito di questo sta forse principalmente
nel capolavoro di Camillo Boito cui Brass si è liberamente ispirato
rivendicando una maggiore fedeltà al modello rispetto alla precedente
trasposizione cinematografica di Visconti, se non per la ambientazione
e certi particolari anagrafici almeno per il profilo umano dei personaggi
e il carattere intimamente carnale della vicenda. In effetti, è
vero, si ripropone l'ennesimo apologo brassiano di una lussuria corpulenta
e a tratti volgare, raccontata con inquadrature ginecolgiche e teatrini
grotteschi di bordelli surreali direttamente trasposti dall'immaginario
deviato di un risaputo cultore dell'adipe. Ma il vizio e le sue varie
forme oltre che semplificati valori di una naturalità solare e
rigogliosa come in altri film del nostro, vengono qui sentiti con un afflato
più tenue come contrappunto alla malinconica atrocità della
guerra. Il primo atto di passione tra i due amanti, è lacerato
dalla vicenda di un brutale delitto nazista che si consuma tra i viottoli
veneziani e la tragica disperazione di un bambino di fronte alla mamma
stirata a terra da una pallottola. Una soluzione narrativa montata con
efficacia, che rivela un volto più tenero rispetto ai falli artificiali
di Paprika o agli starnazzi libidinosi sulla farina di Monella e, nonostante
si giochi sul limite del patetico, ribadisce la genuinità di un
autore che, aldilà delle questioni di gusto, riesce sempre a tradurre
in immagini una sua particolare visione, corposa, lucida e coerente. L'avventura
dei due amanti è vissuta, almeno nella prima parte, come una infatuazione
adolescenziale che rapisce in un paradiso di "senso" e di emozioni,
tanto più esaltante e penetrante, quantopiù distaccato dalla
bituminosa squallidità di un aggregato umano viscido, putrido e
subdolamente nichilista. Livia intravede un un uomo "tenero e indifeso
da proteggere" sotto la divisa autorevole del gendarme nazista e
Helmut, mentre penetra la donna "ubriaco del suo culo", con
le spalle tagliate dalla luce calda di un crepuscolo veneziano rinnega
la guerra, le istituzioni e la patria.
Una fotografia dalle tinte scure e la velatura violacea del bianco e nero
che caratterizza il segmento temporale portante della struttura a macro-flashback,
impreziosiscono una scenografia aristocratica e seducente dando al racconto
un senso di suggestiva discrezione che odora di letteratura colta e di
cupa parabola esitenziale. E la parabola esistenziale, col suo tratto
discendente, si spinge più avanti, evolvendo in un finale tragico
come si coniene ad una storia d'amore di gusto decadente, dove quel sentimento
così sublime in cui ci si perde e in cui sembrano sciogliersi i
rugginosi attriti di una quotidianità tediosa, mostra d'un tratto
il suo lato oscuro e asimmetrico senza soluzioni edificanti e speranze
consolatorie. Senso '45 è un film sul sesso e la carne, ma anche
un film su un certo volto dell'amore dai risvolti amari, una storia sentimentale
dalle pieghe pregne di lugubre inquietudine che nello scenario fantastico
di una Venezia non poi molto lontana da quella appestata di Thomas Mann,
procede lungo un percorso in caduta verso la morte.
Voto:
26/30
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