
Asia Argento è probabilmente la più internazionale delle nostre attrici,
e non tanto o non solamente grazie alle sue capacità di interprete, quanto
per la poca italianità del proprio personaggio. A differenza, per dire,
di Francesca Neri - per quanto prossima Schwarzenegger-girl - o, a livelli
ben inferiori, di Maria Grazia Cucinotta, Asia ha costruito nel tempo
un'immagine di ragazza, oltre che di attrice, fuori dagli schemi, sempre
sopra le righe, bella ma autodistruttiva, tatuata e comunque poco rassicurante.
Fin da giovanissima (con Moretti, Cristina Comencini, Placido) le sue
scelte - o occasioni - sono andate quasi sempre in direzione di autori
marginali, appartati (Grimaldi, in un certo senso il Veronesi di VIOLA
BACIA TUTTI) non precisamente commerciali (Peter Del Monte), tranne forse
il caso di Carlo Verdone (anche se, almeno nella prima parte, PERDIAMOCI
DI VISTA è senza dubbio tra i più antipatici film del comico romano).
Ci sono poi naturalmente le diverse partecipazioni ai film del padre,
non certo tra gli autori più accessibili del panorama nazionale. E poi
i ruoli all'estero, ne LA REGINA MARGOT; con Michael Radford; assieme
a Malkovich e Depardieu per I MISERABILI televisivi e, soprattutto, in
NEW ROSE HOTEL di Abel Ferrara, il regista a lei forse più consono e che,
senza dubbio, ha esercitato non poca influenza sulla figlia di Dario,
alle soglie del debutto da autrice.
Detto ciò, il problema principale della regista Asia Argento nasce inanzitutto
e proprio dall'essere l'Asia Argento attrice.
In altre parole: sono moltissimi i giovani (Asia, all'inizio delle riprese,
aveva ancora 24 anni) che vorrebbero esprimersi ad alto livello, ma anche
i pochi che - specie nel cinema - ce la fanno, passano, perlomeno nella
maggior parte dei casi, per una gavetta più o meno lenta, durante la quale
si commettono molti errori ma senz'altro si riflette e si dà una forma
più compiuta e matura al proprio slancio iniziale. Asia, questo percorso
non l'ha fatto, o meglio, non l'ha potuto fare e questa, sia chiaro, non
intende essere una critica. Però - nonostante il talento in nuce - il
fatto di essere Asia Argento le ha permesso, troppo presto, di trovarsi
a fare del cinema vero che, specie per ragioni distributive, ha lo svantaggio
- rispetto a quello amatoriale - di amplificare oltremodo anche quei difetti
che, per quanto si è detto sopra, sono pressoché inevitabili.
Lampante in SCARLET DIVA è, in primo luogo, la forte ma male assortita
concentrazione di tutti quei nodi tematici che evidentemente Asia sentiva
come i più urgenti. Allo stesso modo - come sempre accade a chi per la
prima volta, in qualsiasi forma, tenta di fare arte - è senza dubbio straripante
l'urgenza autobiografica: si racconta infatti della giovane attrice-diva
Anna Battista, continuamente in giro per il mondo, oltre che per lavoro
anche alla ricerca di qualcosa che sente di non avere. Fino all'incontro
con Kirk. Ma l'attenzione è puntata in modo particolare sugli aspetti
oscuri di questa vita: la tendenza all'annullamento di sé, l'incapacità
di vivere una storia d'amore, o perfino di fare l'amore (a Kirk Anna confessa:
"è la prima volta che faccio l'amore, prima era solo una puttana") e soprattutto
il peso della solitudine. Una questione evidentemente centrale, dal momento
che la Argento, anche in televisione, ha spesso insistito su questa sua
cronica mancanza d'affetti, nonostante la popolarità (ora, grazie a Morgan
dei Bluvertigo, forse le cose vanno meglio...). E Anna, nel film, viaggia
senza compagnia, sembra limitarsi ad attraversare le situazioni in cui
si trova, per poi svegliarsi nuovamente da sola. I rapporti con le altre
persone sono pressoché superficiali, ad eccezione di un'amica che vive
a Parigi, ma che è troppo presa dalle continue lotte con un compagno manesco.
Degli altri (il personaggio di Selen) nemmeno si ricorda. SCARLET DIVA
è il percorso di Anna-Asia verso il grande amore, capace di porre fine
a tutto questo.
Se quanto detto finora è effettivamente parte nel film, lo è soprattutto
come presenza latente, come qualcosa in potenza, perché SCARLET DIVA manca
in primo luogo della compattezza narrativa che un film, qualunque ne sia
il soggetto, richiede. Alcuni momenti (in particolare verso la fine) sono
buoni, ma slegati dal resto, pieni evidentemente di buoni intenzioni,
ma non sorretti da altrettanta abilità realizzativa. L'insistenza sulla
"maledizione" di Anna, nonché di Kirk e dello scrittore olandese, denota
ad esempio mancanza di equilibrio, ma anche di pratica.
Tutti limiti non da poco, verrebbe da dire, ma che non ci sembrano sufficienti
a censurare il film. Perché, a differenza di tanto pacifico cinema italiano
che nessuno comunque va a vedere, SCARLET DIVA ha almeno la forza di porsi
- anche se con risultati a volte ingenui (vedi lo "sdoppiamento" di Anna)
- come opera, per quanto informe, capace di osare, e non certo realizzata
(o non solo) nella speranza di un forte ritorno economico, ma con l'evidente
aspirazione, non priva di (sana) presunzione, di fare qualcos'altro, di
profondamente personale. Un film nel quale è palpabile il desiderio allargare
gli spazi, i confini e le storie. E già non è poco.
La aspettiamo con fiducia alle prossime prove.
Voto: 25/30
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