La vita di Luisa Ferida
(Bellucci) e Osvaldo Valenti (Zingaretti), stelle del cinema italiano
dell’era fascista, giustiziati dai partigiani, malgrado l’aiuto di un amico
regista (Boni), perché sospettati di aver partecipato in veste di
torturatori alla Repubblica di Salò.
Quello di Giordana è cinema popolare per eccellenza, ovvero narrativo e di
ampio respiro, a scapito magari di una vera poetica personale, nei suoi
momenti migliori, meramente descrittivo e sempre sul filo della maniera nei
momenti peggiori. Stavolta siamo più dalle parti della seconda ipotesi.
Al di là di una ricostruzione storica che odora un po’ di cartapesta, a
venire disattesa, a differenza dei precedenti
I cento passi e La meglio
gioventù, è in particolare la pretesa di creare un affresco, ovvero
di raccontare il nostro paese attraverso un pugno di personaggi, i quali in
questo caso non riescono mai ad ergersi ad espressione – che sia metafora o
reazione – dell’Italia fascista.
Anche perché Giordana, sceneggiatore insieme a Leone Colonna e Enzo Ungari,
viene colto da un inaspettato senso di pudore che gli impedisce di
inoltrarsi veramente fra le pieghe oscure di questa coppia tormentata e
pressoché inedita nel panorama dello spettacolo italiano, fermandosi ad
aspetti epidermici quali l’istrionismo narcisistico di Valenti, oltre che a
qualche sniffata e ad un timido bacio saffico. E l’unica cosa che sembra
premergli davvero è dimostrare l’infondatezza delle accuse che hanno portato
all’uccisione dei due attori, in ossequio alla recente tendenza revisionista
interna alla sinistra italiana che vuole provvedere ad una parziale
ridistribuzione di colpe e meriti di quel periodo cruciale con finalità
riconciliatorie. Intento anche lodevole, ma di certo incapace di reggere da
solo l’intero film.
Diviso in due (data anche la lunghezza) e visto in televisione, comunque,
farebbe tutt’altra impressione.
27:05:2008 |