
ROLLERBALL è un gioco duro e violentissimo che viene utilizzato
dal Potere per sottomettere l'individuo soggiogandone le emozioni. In
uno sconcertante panorama di aridità ed alienazione metropolitana,
in un futuro tanto vicino da rasentare l'attualità di certa cronaca
nera, in un mondo vulnerato da compromessi ed arrivismo in cui il Dio
successo si nutre dei brandelli di carne e sangue delle sue vittime, John
McTiernan ambienta il remake di uno dei film più violenti e trasgressivi
degli anni settanta, un simbolo di creatività e destrutturazione
del linguaggio espressivo anteatto. Mentre, tuttavia, la vicenda narrata
dall'originale di Norman Jewison del 1975 si snodava nel cuore nero dell'America
del 2018, la pellicola di McTiernan, forse per aggirare un confronto troppo
diretto, forse per dar corso a moventi più profondi di denuncia
sociale, si svolge nel 2005 perdendo, dunque, intenzionalmente, qualsiasi
connotazione futuristica e mantenendo, come proprie del modello della
sua ispirazione, quasi solo le partite di Rollerball. Si tratta, dunque,
fondamentalmente, di una nuova storia che prescinde dall'eroe cinico che
sopravvive grazie alla consapevolezza della quotidianità della
violenza, che ha reso immortale il mito di James Caan, e si focalizza
in massima parte su una vicenda paradigmatica di molti mali che affliggono
il nostro tempo: in un futuro particolarmente prossimo in cui gli uomini
vivono in città megalitiche e spersonalizzanti, in cui agli Stati
si sono sostituite le Corporazioni, in cui la guerra è ormai il
simulacro di un orribile incubo bandito dalla razionalità, unica
forma di sfogo legalizzata nonchè strumento di controllo delle
pulsioni è uno sport concepito come mix tra hockey su ghiaccio
e polo in cui moderni gladiatori si fronteggiano divisi in due squadre
di pattinatori, motociclisti e catcher votati, sino alla morte, a portare
a canestro una palla di acciaio di sette libbre. Contro il parere degli
sceneggiatori che avevano immaginato di ambientare la storia 400 anni
nel futuro, il regista decide di raccontare una vicenda avulsa dal tempo,
ancorata a parametri di sopravvivenza attuali oggi come 100 anni fa, e
tratteggia l'eterno ricorso storico per cui ci sarà sempre gente
che rischia la vita e gente che su questi incontri fa i soldi. E non c'è
stato certo bisogno di spostare lo sguardo tanto lontano per incontrare
lo scenario che concretizzasse l'incubo e l'aberrazione narrati. Lo sfondo
su cui proiettare, come ombre cinesi, le paure per un futuro da cui siano
banditi diritti e libertà, da cui sia difficile sfuggire per la
sua incombenza era già reale.. bastava leggerlo nell'incomprensione
che schiaccia, nell'assistenzialismo che umilia, nella violenza che uccide
con l'irrazionalità del caso.. bastava denunciare la situazione
di alcuni Paesi dell'Est europeo, per esempio, o dell'Ex Unione Sovietica
che sembrano, tutt'ora, frastornati ed ebbri degli effluvi di troppo improvvisa
libertà senza controllo, che rendono plausibile l'inquietante ipotesi
costruita da McTiernan. Il guru dell'adrenalina hi-tech, dunque, padre
di progetti colossali e vincenti come PREDATOR, TRAPPOLA DI CRISTALLO
e DIE HARD, tenta, non riuscendovi del tutto, di spettacolarizzare un
messaggio sociologico affatto superficiale, veicolando l'attenzione del
grande pubblico attraverso l'univoco richiamo al titolo del film di Jewison,
per poi catturarla con la ricchezza delle immagini ed il virtuosismo di
effetti speciali visivi e sonori e frastornarla sino a dimenticare la
pochezza della sostanza mostrata. L'azione della nuova pellicola, motore
di una partita dove si combatte non solo per la vittoria ma anche per
la vita stessa, non si svolge più solo all'interno del campo da
gioco ma per le strade di San Francisco a bordo di poderose moto o di
sfavillanti Porche, di Rollerblades aerei ed carri armati. L'ascesa e
la corsa verso la distruzione di Jonathan Cross, la stella dello sport
più estremo di tutti i tempi, e dei suoi compagni di squadra, segue
l'andamento schematico e prevedibile della parabola per cui da divi idolatrati
e super pagati, gli atleti si ritrovano ad essere pedine in un gioco mortale
che esige sacrifici umani da immolare all'audience ed all'ingordigia di
un pubblico mutilato delle proprie emozioni. La vicenda raccontata è
del tutto secondaria alle reazioni che le grida del pubblico negli stadi,
il soffio dei pattini, i tonfi sordi degli scontri ed il suono metallico
della palla sono in grado di suscitare così come pure al senso
di gelida impotenza che pietrifica dinanzi all'aberrazione di una violenza
che si fa più orribile ancora perché legalizzata. Poco importa,
allora, se l'insipido Chris Klein indossi i mitici panni che furono del
grande James Caan con la stessa sciattezza con cui vestiva quelli dell'adolescente
imbranato di American Pie o se la bella ed altrove brava Rebecca Romijn-Stamos
sia stata scelta solo per intrappolarne il fisico prorompente nelle attillate
tutine da competizione, o ancora che l'eccellente Jean Reno tratteggi,
con il suo boss del Rollerball, il primo personaggio cattivo senza sfumature
della sua carriera che avrebbe meritato ben altro spessore o contesto
se, alla fine, quello che davvero conta è il gioco mozzafiato in
cui si viene assorbiti durante la proiezione. Più di un film, dunque,
sembra trattarsi di un videogame che cerca, sì, di affrancarsi
dall'etichetta di clone di un capostipite ingombrante perdendosi, però,
sulla strada delle buone idee che generano propaggini che si rivelano,
per quanto attraenti, pur tuttavia senza anima.
Voto: 24/30
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