Al momento di mettersi a parlare di un film
d’animazione come ROBOTS, bisogna innanzitutto considerarlo per quello
che è: un prodotto destinato all’intrattenimento leggero, con lo scopo
di far ridere il pubblico e di appassionarlo ad una storia senza
eccessive complicazioni. E questo compito l’opera del team Blue Sky
Studios (già dietro il successo de L’ERA GLACIALE) lo svolge
egregiamente, regalando un umorismo adatto sia ad adulti che bambini,
trovate alle volte geniali, sequenze dinamiche e coinvolgenti,
personaggi simpatici e una trama lineare ma sufficientemente
appassionante. Certo, non che il racconto di ROBOTS brilli per
originalità, l’intera narrazione è piuttosto prevedibile; tuttavia
sarebbe sbagliato aspettarsi di più da un’opera realizzata con le
suddette finalità.
In breve, in un mondo popolato esclusivamente da robot, interamente
metallico, in cui i piccioni vanno caricati a molla, i prati passati con
la lucidatrice ed i bebè montati seguendo le istruzioni nella scatola,
il giovane ed intraprendente Rodney, complici le aspettative del padre
lavapiatti, parte dalla sua cittadina alla volta della grande metropoli
- Robot City - con in testa il grande sogno di diventare un inventore di
successo e la speranza di incontrare il suo idolo: il generoso
scienziato Bigweld. Purtroppo però, una volta arrivato sul posto si
troverà di fronte ad una realtà ben diversa: Bigweld è stato scalzato
dall’arrivista Ratchet - pilotato dalla perfida madre, Madame Gasket,
proprietaria dell’officina sotterranea in cui i vecchi robot vengono
fusi e riutilizzati - e ha deciso di non produrre più pezzi di ricambio,
condannando così alla rottamazione tutti i robot che non possono
permettersi nuovi, sfavillanti componenti. Sarà proprio un gruppetto di
robot emarginati, i Rugginosi (fra cui spiccano il robot cialtrone
Fender - il cui nome è fin troppo simile al robot farabutto della serie
"Futurama", Bender - e la sua determinata sorellina Piper), ad aiutare
il giovane robot a ritrovare Bigweld per salvare la situazione, complice
anche l’assistente di Ratchet, l’affascinante Cappy.
Nel mezzo tutta una serie di gag ben riuscite, sequenze magistrali come
quella dell’imponente costruzione di domino di Bigweld, macchinari
complicati che fanno venire alla mente le folli invenzioni di Munari
(vedi il pazzesco sistema di trasporto di Robot City, il Crosstown
Express, costituito da un insieme incredibile di sfere, binari, martelli
e ingranaggi).
Il pregio maggiore di ROBOTS sta comunque soprattutto dietro l’imponente
lavoro di realizzazione, che ha impegnato oltre che il regista Chris
Weldge e il co-regista Carlos Saldanha, l’illustratore William Joyce,
gli sceneggiatori professionisti Lowell Ganz e Babaloo Mandell e
soprattutto una imponente schiera di tecnici, grafici e programmatori
che, anche grazie a tecnologie innovatrici realizzate appositamente per
il film, sono riusciti ad ottenere dei risultati in ambito di animazione
3D realmente stupefacenti. I personaggi, per quanto numerosi, sono tutti
estremamente curati, fin nei minimi particolari, quali segni di ruggine,
graffi ed imperfezioni varie. Gli scenari sono di un’ampiezza e di un
respiro notevoli e la sensazione di verosimiglianza delle luci e delle
superfici metalliche ha raggiunto nuove soglie.
Certo, in queste grandi produzioni di animazione mainstream, la
sensazione che si ha è sempre quella di essere di fronte a un
divertimento fin troppo calcolato, a qualcosa di simile alle “fantasie
serializzate” di cui accennavo in una mia precedente recensione, insomma
di fronte ad un prodotto uscito da una catena di montaggio. Ebbene, in
parte ROBOTS è questo, ma forse si può soprassedere, perché se almeno i
prodotti del business del divertimento fossero tutti di questa qualità
non dovremmo disperarci per la gran quantità di opere studiate a
tavolino ma comunque di infimo livello che circolano.
Per quanto riguarda invece il doppiaggio in italiano, nel complesso è
piuttosto buono, peccato che la trovata pubblicitaria di far
interpretare a DJ Francesco il personaggio principale abbia indebolito
la produzione in uno dei punti cardine: la voce di Rodney risulta
infatti una delle più piatte. Nella versione originale è invece affidata
ad un ben più prestigioso Ewan McGregor (affiancato da Robbie Williams,
che presta la voce a Fender), e sarei proprio curioso di vedere il film
in inglese così da potermi rendere conto della differenza.
E’ infine necessario un paragone con il predecessore di ROBOTS, il
fortunatissimo L’ERA GLACIALE (Ice
Age), con cui condivide alcune caratteristiche, fra cui il tipo
di humor ed il buonismo, ma rispetto a cui compie un decisivo passo
avanti (tralasciando gli aspetti tecnici, che per ovvie ragioni
temporali sono decisamente superiori in ROBOTS), sia per quanto riguarda
una trama sicuramente prevedibile ma comunque meno ingenua (non dobbiamo
sorbirci per ben due volte la “morte apparente” di uno dei personaggi),
sia per il fatto di aver creato da zero un intero universo, popolato di
soli automi, sia per una maggiore raffinatezza nel delineare le
psicologie dei personaggi.
Un paio di ultime notazioni: una riguarda la “struttura livellare” di
Robot City, che riproduce la suddivisione in classi di una società
fortemente stratificata. Si parte infatti dall’underworld della
fonderia di Madame Gasket, per passare ai bassifondi scalcinati dei
Rugginosi, attraverso le abitazioni colorate ma disordinate della
middle-class, fino ad arrivare ai palazzi lucidi e imponenti
dell’élite robotica. L’altra concerne il fatto che questa suddivisione
viene convalidata dal film sin dal momento in cui risulta evidente che
la “proletaria” Piper non avrà alcuna speranza di competere con la
“alto-borghese” Cappy nel far breccia nel cuore di Rodney.
Voto: 24/30
17:03:2005 |