ROAD TRIP
di Todd Phillips
con Breckin Meyer, Sean W. Scott e Amy Smart



Quattro studenti di un college americano partono da Ithaca verso Austin, Texas (3000 chilometri a sud), perché uno di loro deve evitare che un certo evento metta in crisi il rapporto con la fidanzata. Viaggio in auto e iniziazione sessuale, tra disavventure e sbronze goliardiche. Mentre un'altra ragazza, innamorata del protagonista, si mette sulle sue tracce, armata di minacciose intenzioni e pronta ad affrontare la rivale in amore. Lieto fine, con scioglimento dei nodi narrativi . Se fossimo nei mitici anni Settanta, si tratterebbe di un road movie perfetto, accompagnato da musiche che seguono il ritmo degli spostamenti, ambientazione da "campus" e riferimenti alla cultura "lisergica". Se fossimo…
In questi ultimi quattro anni, diciamo da SCREAM in avanti, il genere dei "college movies" si è conquistato uno spazio rilevante all'interno della produzione americana, riuscendo, more solito, a penetrare i mercati esteri. SCREAM era più che altro d'ambientazione liceale, ma comunque il primo a pullulare di teenagers brufolosi e bellezze in gonnella. Peccato fosse anche un grande film in assoluto, al punto da far passare in secondo piano il resto. Sono poi venuti i vari THE FACULTY, URBAN LEGENDS e SKULLS, dove l'insistenza nel raccontare una realtà così limitata risultava tollerabile grazie agli spunti horror o gialli presenti in queste pellicole.
Qui, invece, lo spunto narrativo di partenza, come detto, ha pretese "alte": peccato che il road movie entri presto nel tunnel di una progressiva discesa verso la pseudo citazione di ANIMAL HOUSE, più come riferimento generico, che come ricchezza d'idee. La demenzialità di fascia bassa esibita battuta dopo battuta, scena dopo scena (non memorabili quelle dello sfigato della compagnia, impacciato, succube e fisicamente impresentabile, ma iniziato sessualmente da una ragazza di colore di nome Ronda, che esibisce una silouhette da lottatore di sumo; o l'episodio nella banca del seme), non descrive un'epoca, come in John Landis, non rivela un disagio generazionale profondo, tra l'altro collocato in un'età diversa - i 25/30 anni - rispetto ai mocciosi del primo anno che qui dominano la scena. Quello che succede durante il viaggio, poi, sarebbe potuto accadere anche nelle stanzette dell'università: la continua ricerca del joint da rollare, ma non da fumare in gruppo; le canzoni urlate in compagnia; lo scontro col padre oppressivo, che viaggia sempre con la pistola… Come un po' tutta la cultura anni '90, una sorta di remake del flowerpower vissuta con l'inerzia triste delle cene di classe. I ragazzini di ROAD TRIP e le loro girlfriend si spogliano senza gioia: sembra il video di Woodstock '99, che tenta di rifare il '69 senza riuscirci.
Ma ci si abitua a tutto, e dopo tre quarti d'ora ridiamo anche noi, lobotomizzati dalla vista di massaggi anali (!), cani parlanti e nonni in erezione.
Ben altro discorso si dovrebbe fare sul significato dei college movies: il loro unico motivo di esistere è legato al fatto che il periodo dell'università è l'unico momento nella vita dell'americano bianco, yankee e senza rilevanti problemi economici, in cui sia possibile comprendere il concetto di LIBERTA'. Ognuno di questi ragazzini, sa che il PRIMA e il DOPO sono parte di un copione già scritto, mentre solo ADESSO possono evitare di vivere l'assillo del successo e del denaro. Sono come zombie in libera uscita, vampiri che non succhiano il sangue a nessuno. Ma ci fanno pena comunque, perché nessuno di loro avrà la forza di prolungare quel lampo di libertà nella vita sociale che li attende.
Se tutto andrà bene, finiranno come il nonnetto che si fa di viagra e di maria, dopo uno scambio di battute col suo bracchetto.

Voto: 19/30

Gabriele FRANCIONI
17 - 08 - 01


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