
Il titolo di quets'opera della giovane Corsini, presentata a Cannes nel
2001 e arrivata con ritardo nelle nostre sale, gioca sulla ambiguità
di un termine che rimanda contemporaneamente alla recitazione, intesa
come attività artistica e/o professionale, ed all’idea esistenzialista
di un limite che vincola, nella vita reale e nei rapporti con gli altri,
alla interpretazione di un ruolo confusamente sospeso tra autenticità
e maschera, all’interno del quale è difficile divincolarsi preservando
le coordinate d’equilibrio dagli assalti impietosi del desiderio e della
passione. La passione per il teatro, la recitazione sul palcoscenico,
accomuna le protagoniste della storia fin dalla loro infanzia e mentre
diventa carriera per una di esse rimane soltanto sogno inesaudito per
l’altra, ripiegata in una attività assai meno creativa come la costruzione
di protesi dentarie al fianco del marito odontoiatra. Ma l’altra passione,
quella più urgente e minacciosa, quella che ardendo divora le esili giunture
che strutturano la razionalità dei rapporti di amicizia e dei legami familiari,
è quella dell’eros, inteso non solo nel limite di una attrazione fisica,
ma come esperienza mentale e spirituale e carnale insieme; una passione
che si insinua negli interstizi più protetti del rapporto tra le due amiche
di infanzia ed espandendosi demolisce la serenità della loro amicizia
facendo esplodere incontrollabili alchimie di gelosia e rancore. Cavalcando
l’irruenza di questo amore saffico Louise diventa vittima della sua ossessione,
incapace di resistere alla claustrofobica dipendenza per gli sguardi di
Nathalie, per le sue attenzioni, per le sue tenerezze di cui pretende
l’esclusiva a costo di tagliarsi le vene dei polsi e serbare per anni
il livore di un sentimento offeso. L’invadente legame imprigiona l’amante
all’amata e la porta a rinnegare il calore di un matrimonio felice, ad
intromettersi fastidiosamente nella sua vita sentimentale e professionale,
fino a rifiutare di concederla al contatto con terze persone persino quando
questi sono cortesi visitatori di una donna sofferente immobilizzata sul
letto da una peritonite operata d’urgenza. La perversione sottile di questo
sentimento impulsivo, al di là delle sue conseguenze tragiche, sta nel
viaggiare sulla linea di un confine sfumato tra il trasporto mistico e,
più prosaicamente, un ossessivo e invidioso desiderio d’emulazione, una
più o meno inconscia pulsione a saccheggiare la felice sorte di Nathalie
partecipando, da parassita, alla sua carriera, pretendendo di riservarsi
la gestione del suo generoso e sensuale corpo, risucchiando la potenza
creativa e rigogliosa della sua carica erotica.Esplorando
i risvolti di una storia di omossessulità tra donne, tema che in molteplici
varianti sembra negli ultimi tempi affascinare i cineasti
ed affollare le sale cinematografiche, LA REPETITION
cerca di scandagliare un volto opaco dell’universo sentimentale
non soltanto femminile, e sebbene non riesca a approfondire in modo originale
ed esclusivo la drammaticità di un tema così impegnativo, il film si offre
come un riuscito saggio di stile narrativo cinematografico.
La Corsini lavora con un montaggio discreto che avvicenda sequenze brevi
e narrativamente efficaci costruendo un crescendo drammatico razionale
e contenuto nei toni, freddo ma delicatamente incisivo, che non deborda
negli eccessi di una drammaticità teatrale, benchè cinema e teatro si
compenetrino nel racconto, e all’interno di questa architettura sobria
e ben equilibrata lavora con spontaneità ed effetto il talento recitativo
delle due protagoniste. Uno stile che taduce in termini cinematografici
l’insegnamento del regista all’attrice Nathalie in una scena del film
che suona più o meno in questi termini: “devi semplicemente recitare il
testo, il resto lo farà la tua presenza scenica”. La prestazione attoriale
e la solidità di una sceneggiatura che affida il racconto allo sviluppo
delle scene più che ad un testo disseminato di diascalie, sono contornati
da una certa sensibilità di tocco nella cura dell’immagine, che privilegia
soluzioni non di grande impatto,
ma armonicamente allineate alla raffinata semplicità dell’impostazione
stilistica.
Splendide
le geometrie scenografiche delle rappresentazioni teatrali e splendida
come sempre, nonostante la onestà di un volto almeno apparentemente privo
di trucco, la Béart.
Voto: 26/30
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