GRIZZLY MAN

di Werner Herzog

Documentario

di Mauro RESMINI


A differenza di THE WILD BLUE YONDER, GRIZZLY MAN – vincitore del Sundance Festival 2006 – è un documentario tout court, non solo sorretto da tutte le strutture enunciative e le scelte linguistiche proprie di questo regime di rappresentazione, ma anche fondato su un rapporto di fiducia tra spettatore e regista, con il primo ben consapevole della veridicità degli enunciati del secondo. Detto più semplicemente: lo spettatore sa di trovarsi di fronte a una storia vera, con personaggi realmente esistiti.
La profonda consapevolezza con cui Herzog utilizza tutte le marche distintive del documentario in quanto tipologia testuale si rende evidente in GRIZZLY MAN sotto almeno due aspetti: il primo è legato al bilanciamento perfetto che il regista riesce a trovare nell’espressione di due punti di vista opposti, cioè quello di Treadwell e il proprio; l’amore quasi patologico che il “Grizzly man” riversa su volpi e orsi è presentato senza reticenze o pudori attraverso i filmati dello stesso Treadwell: Herzog lascia letteralmente al suo “protagonista” lo spazio testuale per esprimersi, per presentarsi allo spettatore, per raccontarsi. Treadwell addirittura sembra quasi abusare di questo spazio che gli viene concesso lasciandosi andare a performance istrioniche, come durante l’invettiva contro i guardaparco: con il suo ossessivo sguardo in macchina e la sua gestualità sovraccarica, Treadwell – insieme attore e regista di se stesso – domina una scena nella quale ricopre il ruolo di un personaggio bigger than life, come Kinski prima di lui aveva più volte fatto con Herzog.
Pur lasciando a Treadwell lo spazio fisiologicamente ampio che una personalità come la sua richiede, Herzog non rinuncia però a esprimere anche il proprio di punto di vista, non senza una certa durezza: nella battute finali del film, la voce fuoricampo del regista dichiara di non riuscire a vedere negli occhi degli orsi scintille di amicizia o di complicità; tutto ciò che vede è indifferenza, perché la natura non è altro che – quasi leopardianamente – un caos indifferente e crudele, fondato sui bisogni primari, sull’istinto predatorio, sulla morte e sull’assassinio. Questa visione contrasta in maniera stridente con l’illusione di un’armonia panica che traspare dagli appassionati discorsi di Treadwell: GRIZZLY MAN non è – né vuole essere – un’agiografia, ma piuttosto una riflessione sull’uomo, sulla sua forza di volontà ma anche sui suoi limiti e sulle sue illusioni.
Il disperato umanesimo che ispira lo sguardo di Herzog consente allo spettatore di leggere le immagini lasciate da Treadwell non come uno studio sull’habitat degli orsi, ma – in maniera assai più incisiva – come l’ennesimo tentativo di esplorazione dei limiti dell’esperienza umana messo in scena dal maestro tedesco. Questo tentativo – mai gratuito, mai fine a se stesso – si nutre (ed ecco il secondo aspetto) di una tensione etica fortissima, che si traduce in una serie di scelte estetiche improntate alla coerenza più stretta, più intransigente: non solo lo stile di ripresa raggiunge un grado eccelso di sobrietà e di pulizia, ma l’uso sapiente che Herzog fa del fuoricampo (e dell’assenza in generale) tolgono ogni ombra di compiacimento nel raccontare quella che – in definitiva – è una storia di sangue e morte. La scelta di non mostrare le foto dei resti di Treadwell e della sua compagna rima splendidamente con quella di non far ascoltare allo spettatore la registrazione audio degli ultimi minuti di vita dei due, mentre urlano disperati durante l’attacco dell’orso.
GRIZZLY MAN è dunque un film coraggioso e rigoroso, che affronta temi capitali traendo forza e slancio dalla profonda eticità del suo stesso sguardo.
 

Voto: 29/30

17:11:2006

GRIZZLY MAN
USA 2005, durata 103'
Regia: Werner Herzog
Data uscita in Italia: 24:11:2006
Genere: Documentario