
Un giovane vive entrando nelle case lasciate
temporaneamente incustodite. Prende il necessario per sopravvivere, non ruba
nulla, sistema le cose fuori posto (aggiusta elettrodomestici rotti e così
via) e se ne va al ritorno dei proprietari. Le cose però si complicano
quando si innamora di una ragazza sottomessa al ricco marito, e soprattutto
quando in un appartamento trova un morto e viene arrestato perché credutone
il responsabile. Da sempre il cinema di Kim si basa sulla ruvida concretezza
del gesto fulmineo (spesso violento), sospeso in un'atmosfera rarefatta ed
essenziale. Con gli ultimi film, sembra che venga a sovrapporvisi una
tendenza all'astrazione sempre maggiore (si veda il processo di progressiva
stilizzazione che innerva gli episodi di
Primavera, estate, autunno,
inverno... e ancora primavera).
Bin jip ne è probabilmente il
punto di arrivo. L'incedere a scatti e scoppi brutali della messa in scena
di Kim, pur non perdendo questa caratteristica, appare sempre più aerea,
impalpabile, lieve. Il gesto si smaterializza (soprattutto grazie alla
ripetizione: si veda il gesto del colpire la pallina da golf, ripetuto fino
alla nausea) fino a diventare un'ombra. Un fantasma.
Questo è fin dal soggetto un film sul fantasma, sulla traccia nascosta che
sta dietro a una cosa, a un'immagine, a un'azione. Questo è lampante nel
bellissimo finale, ma anche, più sottilmente, nel fatto che più volte i
personaggi del film non sappiano di essere visti da qualcuno che, di fatto,
essendo presente ma non venendo visto è come un fantasma (la ragazza quando
inizialmente vede l'intruso il quale non si accorge della presenza di lei,
il secondino del carcere pedinato passo passo dal protagonista, e così via),
o quando la ragazza, mentre l'innamorato è in carcere, si reca negli
appartamenti visitati con lui ripercorrendone appunto la traccia invisibile
del ricordo.
Nell'ultimo film "buddista", l'assassino si monda della colpa incidendo con
un coltello dei caratteri di scrittura dipinti sul suolo. Redenzione
ottenuta tramite il ricalco di una traccia, annullamento del sé in un
esercizio di passiva obbedienza. Questo film è uguale: si ripulisce da
qualsiasi espressione o passione o narrazione o altro, perdendosi in una
gestualità senza altro oggetto che la traccia fantasmatica da ricalcare.
Perciò, si fissa ossessivamente sui gesti che ripetono qualcosa di già dato,
o che si esauriscono gratuitamente in sé stessi (non solo il golf, ma anche
molte delle azioni che il protagonista compie nelle case, o le violenze
subite in carcere, o le piccole tenerezze tra i due, i cerimoniali "inutili"
come quello del té nella casa del coltivatore di té, e gli esempi si
sprecherebbero a decina) e in questo modo qualsiasi "cosa" possa essere il
film (storia d'amore, scontro tra due personalità maschili, eccetera) si
annulla nell'essere pura e semplice esecuzione di un presupposto che non
c'è.
Si annulla nel gratuito di una gestualità che si libera di se stessa, del
proprio oggetto, della propria ragion d'essere, persa nella mera esecuzione
fine a sé stessa. La storia d'amore non è più una storia, ma soltanto amore,
una presenza impalpabile che traspare da ogni gesto (che la regia di Kim
stringe sempre in una secchezza sospesa e astratta, proprio per renderlo
impalpabile). L'immagine ("monca" per natura, segnata irrimediabilmente dal
fuoricampo), così, diventa una sorta di schizzo a grandi linee di sé stessa,
un'orma sul terreno, un accenno di qualcos'altro, un gesto mancato; l'azione
si dissolve e diventa aria, l'accento non è più in ciò che si vede (trattato
sbrigativamente dalla messa in scena, sincopata e prosciugata, fino a quasi
ammutolire totalmente i personaggi principali), ma nella traccia invisibile
che sentiamo stare dietro, come le foto degli inquilini che guardano
l'intruso aggirarsi nella loro casa.
Ogni situazione è tronca, orfana: il
protagonista si aggira per le case SENZA gli inquilini, il secondino NON
trova il prigioniero che lo segue dietro di lui, la ragazza guarda il
giovane SENZA che lui se ne accorga, e più tardi NON si riconosce nelle sue
foto del passato, e mille altri esempi potrebbero essere fatti. Kim esaspera
questa orfananza esaurendo il gesto senza farlo diventare azione, facendolo
"macerare" in sé stesso, facendocene avvertire la bruciante incompiutezza,
la mancanza costitutiva, senza rinunciare alla leggerezza, anzi, fomentando
il ritmo per dare aerea scorrevolezza al tutto.
Voto 28/30
10:09:04
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