
Cinema divertito e divertente quello
dell’esordiente Eli Roth, già apparso come attore in due recenti produzioni
della Troma ed ora giunto alla regia con questo
Cabin Fever, pellicola di
solido impianto horror non priva di una certa pungente ironia e forte di una
messa in scena legata a doppio filo alle migliori intuizioni del genere. La
storia, presto detta, è quella di cinque studenti di college che, in vacanza
in uno chalet di montagna, si trovano a dover affrontare un’epidemia
mortale. Roth sfrutta il canovaccio dell’horror “rurale” (di recente tornato
in auge grazie a pellicole come
Jeepers Creepers o il remake di
Non Aprite Quella Porta) per
disegnare una satira tagliente della provincia americana, descritta con i
toni grotteschi di un film di Lloyd Kaufmanm e popolata di personaggi da
freakshow, surreali a proprio modo (si pensi al poliziotto Winston),
tratteggiati con mano impietosa e confinati in un universo parallelo a
misura di bottega di paese. I protagonisti, però, non sono da meno: cinque
di quegli odiosi universitari americani che popolano il cinema white
trash, quasi presi di peso da una puntata di "Dawson’s Creek",
iperbolicamente idioti e traboccanti inettitudine. Non ci sono forze maligne
immanenti né orribili Leatherface armati di motosega nel film di Roth; è
sufficiente la stupidità del materiale umano messo in scena a scatenare
epidemie e follia omicida e, per quanto sia possibile ravvisare nel
dipanarsi della storia l’influenza di una “natura matrigna”, è in realtà
l’idiozia dei protagonisti a far precipitare gli eventi. La
caratterizzazione grottesca dei personaggi trova terreno fertile su un
impianto narrativo solido, orgogliosamente “di genere”, debitore tanto di
certo horror europeo contemporaneo (numerose le somiglianze con il bel
Ravenous di Antonia Bird)
quanto delle suggestioni del cinema americano di confine, incline ad un
citazionismo intelligente ed ironico e propenso alla commistione di
registri. Proprio l’instabilità dello sguardo del regista, sospeso tra una
divertita costruzione dell’elemento di tensione ed una caustica volontà
smitizzante, risulta essere il punto di forza di
Cabin Fever, pellicola
estrema nella misura in cui risulta prevalente la tendenza a servirsi delle
regole della narrazione classica, con una costruzione della suspence
che, a tratti, si fa addirittura Hitchcockiana, per dar vita ad un universo
narrativo che classico non è. L’incongruenza delle reazioni dei personaggi,
le brusche accelerazioni narrative, un certo feticismo per la ferocia che
cresce esponenzialmente con il trascorrere dei minuti, sublimando in un
efficace anticlimax, sono componenti fondanti della poetica di Roth,
che, con una maestria che si direbbe istintiva, mette a terra, attraverso
l’utilizzo dei canoni del cinema di genere, la propria volontà di provocare
e spiazzare, rendendola materia visiva pulsante e dinamica. Un esordio da
vero fuoriclasse, che ci autorizza a sperare in un nuovo cinema horror
americano spoglio dell’inquietante buonismo che oggi deturpa buona parte
delle pellicole di genere.
Sito ufficiale
Voto: 28/30
09.10.2003
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