CABIN FEVER
di Eli Roth
Con: Jordan Ladd, Rider Strong

di Riccardo FASSONE


Cinema divertito e divertente quello dell’esordiente Eli Roth, già apparso come attore in due recenti produzioni della Troma ed ora giunto alla regia con questo Cabin Fever, pellicola di solido impianto horror non priva di una certa pungente ironia e forte di una messa in scena legata a doppio filo alle migliori intuizioni del genere. La storia, presto detta, è quella di cinque studenti di college che, in vacanza in uno chalet di montagna, si trovano a dover affrontare un’epidemia mortale. Roth sfrutta il canovaccio dell’horror “rurale” (di recente tornato in auge grazie a pellicole come Jeepers Creepers o il remake di Non Aprite Quella Porta) per disegnare una satira tagliente della provincia americana, descritta con i toni grotteschi di un film di Lloyd Kaufmanm e popolata di personaggi da freakshow, surreali a proprio modo (si pensi al poliziotto Winston), tratteggiati con mano impietosa e confinati in un universo parallelo a misura di bottega di paese. I protagonisti, però, non sono da meno: cinque di quegli odiosi universitari americani che popolano il cinema white trash, quasi presi di peso da una puntata di "Dawson’s Creek", iperbolicamente idioti e traboccanti inettitudine. Non ci sono forze maligne immanenti né orribili Leatherface armati di motosega nel film di Roth; è sufficiente la stupidità del materiale umano messo in scena a scatenare epidemie e follia omicida e, per quanto sia possibile ravvisare nel dipanarsi della storia l’influenza di una “natura matrigna”, è in realtà l’idiozia dei protagonisti a far precipitare gli eventi. La caratterizzazione grottesca dei personaggi trova terreno fertile su un impianto narrativo solido, orgogliosamente “di genere”, debitore tanto di certo horror europeo contemporaneo (numerose le somiglianze con il bel Ravenous di Antonia Bird) quanto delle suggestioni del cinema americano di confine, incline ad un citazionismo intelligente ed ironico e propenso alla commistione di registri. Proprio l’instabilità dello sguardo del regista, sospeso tra una divertita costruzione dell’elemento di tensione ed una caustica volontà smitizzante, risulta essere il punto di forza di Cabin Fever, pellicola estrema nella misura in cui risulta prevalente la tendenza a servirsi delle regole della narrazione classica, con una costruzione della suspence che, a tratti, si fa addirittura Hitchcockiana, per dar vita ad un universo narrativo che classico non è. L’incongruenza delle reazioni dei personaggi, le brusche accelerazioni narrative, un certo feticismo per la ferocia che cresce esponenzialmente con il trascorrere dei minuti, sublimando in un efficace anticlimax, sono componenti fondanti della poetica di Roth, che, con una maestria che si direbbe istintiva, mette a terra, attraverso l’utilizzo dei canoni del cinema di genere, la propria volontà di provocare e spiazzare, rendendola materia visiva pulsante e dinamica. Un esordio da vero fuoriclasse, che ci autorizza a sperare in un nuovo cinema horror americano spoglio dell’inquietante buonismo che oggi deturpa buona parte delle pellicole di genere.
 


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Voto: 28/30

09.10.2003