RADIO AMERICA

di Robert Altman
Con Meryl Streep, Kevin Kline

di Marco GROSOLI


La trasmissione radiofonica statunitense “A prairie home companion”, rassegna di musica country di enorme successo e longevità (fu fondata 30 anni fa da quel Garrison Keillor che ne è sempre stato il mattatore, e che ha commissionato a Altman questa pellicola) è agli sgoccioli. È costretta a vendersi a speculatori che vogliono chiuderla. Fin qui, siamo in zona Nashville. Ma non cè solo il solito affettuoso bestiario della provincia a stelle e strisce altmaniana. Una strana donna in impermeabile bianco si aggira quatta quatta nel teatro Fitzgerald (sì, Francis Scott: riferimento tutt'altro che casuale, vedrete), seguita da un investigatore privato buffo e anacronistico, che sembra uscito da un film noir anni 40, e infatti si chiama Guy Noir.
Ma la vera storia la racconta la Donna Misteriosa, riportando una barzelletta detta anni prima da Garrison Keillor. Un pinguino dice a un altro pinguino: sembra che tu abbia indosso un frac. E lui: e chi ti dice che non ce l'abbia davvero? È questo, precisamente, il punto focale di tutto Altman: la problematica (ma possibile) distinguibilità tra la realtà e quel suo “vestito” che è l'immagine, la sua pura apparenza.
Ma perchè proprio questa battuta idiota? Perché a questa battuta la Donna Misteriosa, che è l'Angelo della Morte nientemeno (ma sì, sveliamo il mistero, che tanto Radio America va a parare altrove), non ride, mentre gli uomini sì, dice Garrison Keiller. La morte, esattamente come il cinema, non distingue la realtà dalla sua immagine e rende le persone “vere” qui e ora delle figurine bidimensionali, delle ombre tragicamente provvisorie. La morte e il cinema attestano di continuo che tutto è impermanente. Il problema posto da Radio America è: come fanno persone vere a esistere nonostante la morte (e il cinema) le dipinga come una mera illusione? Come fanno persone vere a non essere travalicate dal Capitale (parente stretto sia della morte che del cinema), che le considera come pedine esili e senza spessore, esattamente come lo speculatore nel film, l'unico a guardare lo show non nella sala del teatro, ma da un palco coperto da un vetro, con la regia di Altman fa di tutto per alludere che la scena in corso sia non tanto “in scena” quanto un riflesso su quel vetro guardato dallo speculatore. Speculatore il cui viso viene a sua volta riflesso sul vetro: addirittura, estremizzando di lì a poco questo principio, il processo annichilente dell'immagine, gemello di quello della morte e del capitale, gli si rivolge contro, e l'Angelo della Morte lo condanna a un incidente fatale “liberando” i corpi di chi lavorava e lavora al programma radio dalla morsa dell'immagine e del capitale.
La morte, che raddoppia gli uomini in se stessi e nella propria immagine facendoli combaciare, può venir contrastata quando viene raddoppiata anch'essa (la morte dello speculatore è la copia dell'incidente in cui perse la vita l'angelo). E infatti il finale mostra l'angelo che guarda con il suo bellissimo viso soavemente minaccioso prima i protagonisti riflessi sul vetro, e poi i protagonisti in carne ed ossa. L'indistinguibilità tra cosa e immagine che è la morte (e il cinema) dovendosi raddoppiare innanzitutto lei stessa (è la grande lezione del dimenticato Images sempre di Altman del 1972) paradossalmente rivela la propria necessità intrinseca di distinguere tra le due cose. La macchina da presa di Altman, che con i suoi movimenti intorno e innanzi-indietro rispetto ai corpi e alle cose attribuisce loro uno spessore volumetrico che li dichiara “cose”, con una propria concreta presenza sul set, nel momento logicamente opposto in cui ne fa “immagini” e assenza dal set. È precisamente lo sdoppiamento di cui si sta parlando, e da decenni Altman lo mette in pratica inquadratura dopo inquadratura.
Non a caso, frequentemente troviamo movimenti di macchina che uniscono e fondono i momenti di “dietro le quinte” a quelli “in onda” dei vari numeri musicali. Campo e fuoricampo (diciamo pure vita e morte) si danno pacificamente la mano, si ritrovano stretti nello stesso abbraccio. La prima inquadratura è un ripetitore radiofonico sovrapposto ai suoni che trasmette: l'immagine (sonora, in questo caso) è mescolata al suo supporto (la “cosa” dietro all'immagine, che la produce) – principio che è poi evidentemente lo stesso in atto in tutto il film, dove coesistono le persone e la loro “immagine sonora” che si sente per radio (“In radio non si invecchia né si muore”, dice Keillor). Ugualmente, l'angelo abita lo stesso spazio degli uomini, e viene visto proprio insieme a loro.
Campo e fuoricampo vanno a braccetto, e proprio in virtù di quest'intesa è possibile (sdoppiando l'agente sdoppiante che è l'immagine, la morte, il capitale) ritagliarsi un campo che scosti e sorvoli il fuoricampo assoluto della morte (e dell'immagine). Tutto il contrario del pensiero “noir”, incarnato appunto da Guy Noir, che si crogiola nella tragicità sottesa alla scissione irriducibile tra campo e fuoricampo. Per questo questa figurina del noir apre il film con tutta la tragicità e la voce off di un personaggio noir, per poi diventare un personaggio sempre più comico e dunque anti-noir. Prova del nove: l'Angelo che la voce off di Guy evoca illudendoci che se lo sia sognato, che sia un'apparizione del fuoricampo aliena dal campo, ritraendola in uno stilizzato e irreale vicolo illuminato di blu, senza stacchi di montaggio entra nel teatro Fitzgerald, dice addio al fuoricampo incarnando la continuità con il campo.
 

Voto: 23/30

06:06:2006

A Prairie Home Companion
Regia: Robert Altman
Anno: 2006
Nazione: Stati Uniti d'America
Durata: 100'
Data uscita in Italia: 01:06:2006
Genere: Commedia