rachel sta per sposarsi

di Jonathan Demme

con Anne Hathaway, Debra Winger
Altri interpreti: Bill Irwin, Rosemarie DeWitt

 

 

di Gabriele FRANCIONI

 

30/30

 

Parlare col corpo/ Exhibiting the Body

Jonathan Demme appartiene alla generazione di chi è nato nel secondo dopoguerra.

Generazione, quella postbellica, la cui mitopoiesi individuale coincideva con quella di massa, capace di costruirsi attraverso una transizione dal sogno adolescenziale – comune ai teenagers di ogni epoca – ai film, i fumetti, la pubblicità e la tv in genere, che esordivano allora.
Il “meraviglioso” scoperto nei cinema di provincia (pellicole in 3-D, caleidoscopio di colori e suoni) marciava insieme all’angoscia per una possibile Guerra Nucleare -o per tutte le altre guerre in atto - e questa convivenza di magia primordiale e precoce consapevolezza filtrate attraverso l’occhio della mente, segnarono l’opera di molti autori.

 

Questo film, tutti i suoi film o l’intera filosofia demmiana, rispondono all’interrogativo: who is Charlie?
Chi si nasconde dietro l’Uomo Comune (il drogato, la sposa, l’agronomist, l’uomo Jimmy Carter)?
Chi è il Charlie che è dentro costoro e dentro tutti noi?

(Charlie è il nome del protagonista di SOMETHING WILD e anche quello che torna nel titolo del remake di SCIARADA: THE TRUTH ABOUT C., appunto).
Demme utilizza il proprio occhio-spia - lo stesso delle soggettive finali di SILENCE OF THE LAMBS - entelechico e quasi posseduto da una congenita predisposizione alla fluttuazione/interscambio tra soggetto osservante e oggetto ripreso, sia per scandagliare dinamiche interiori e derive esistenziali, sia per puntare dritto al cuore di una nazione.
Perfettamente coerente rispetto alla fagocitante multimedialità cormaniana, Demme non crea vari film, ma monta (il valore dell’editing, come in Dante) un corpus unico iniziato ai tempi della New World, dove non c’è distinzione tra dentro e fuori, privato e pubblico, piccolo e grande.

 

Qui è massimamente l’innocenza primaria del corpo-sofferente-privato di Anne Hathaway a darsi come truth-lingo, linguaggio di verità, nudo di fronte alla sfrontata seduta analitica silenziosa filtrata dalla m.d.p. è il corpo di Anne - junkie alla deriva per aver causato la morte del fratello in un incidente d’auto - che stabilisce un agone tra segni linguistici e resto dei segni non-linguistici.
La battaglia/seduta avviene a colpi di scambi senza pietà tra l’ ipertrofia verbale della protagonista e l'“indecenza” silenziosa della macchina da presa, decisa e pungente quanto un ago di siringa arrivato fino alla carne e all’ osso del dolore.
Ascolto della parola che, da solo, non porta a nulla, è il solito paravento di chi non vuol mettere in discussione il proprio corpo.
La top model posseduta dal mostro invisibile (e “grasso”) del dolore, così diverso dalla muta magrezza esteriore, mette in atto una comunicazione non-verbale -Demme lavora coi corpi, nei suoni, attraverso le immagini - stabilendo un più alto livello di percezione, analisi, risoluzione e catarsi.
è
la “parola silenziosa” a condurci verso la comprensione dell’essere e della verità.
Come accadeva nelle simmetriche gabbie in cui allenava la parola Hannibal Lecter (uno che mangia il corpo degli altri per capirlo meglio), o nella contrapposizione statico/cinetico tra gli ambienti del potere in MANCHURIAN CANDIDATE e la dimora dadaista dell’ex-capitano dell’esercito americano; ma anche nei collage musicali di SOMETHING WILD e TRUTH ABOUT CHARLIE; o nel corpo scuro errante di Thandie Newton che sfugge col semplice movimento alle reti di parole tessutele attorno dal ragno-Wahlberg. Ci si sottrae all’utopia del controllo sulla mente solo ridando ascolto ai corpi, ai suoni, alle immagini in movimento.

Questo approccio alla cosa-cinema, che per Demme e altri visionari cormaniani e post-cormaniani è anche stile di vita, deriva dal periodo passato alla New World, nei primissimi anni Settanta, quando l’ineffabile regista-produttore addestrava il suo manipolo di studenti sovversivi ad una contro-guerra dei segni, che loro stanno ancora combattendo.
Corman insegnava uno stile di regia che sembrava un appostamento dietro le linee nemiche e in RACHEL la m.d.p. lavora come un’arma, una pistola che muove verso Hathaway o la sorella, letteralmente divorata dal furore della protagonista.

La predisposizione di questo apparato di tecniche d’assalto visivo non è gratuita: il regista deve scovare, con il movimento, la verità dentro le cose, operazione relativamente semplice (“cose” che si aprono all’uomo se questi si apre ad esse: Malick, per esempio) e la verità dell’uomo - molto più difficile da trovare - tenuta nascosta nelle menti dei familiari (dei cari creduti conosciuti) grazie ai mascheramenti della parola, del logos.

Alla fine, come sempre, si apre la festa: i suoni caraibici, le etnie dialoganti, gli stili musicali sovrapposti e, naturellement, Mr Corman in persona, tra i danzanti, a tenere le fila di un cinema unico, irripetibile, necessario.

 

03:09:2008

Rachel Getting Married
Regia: Jonathan Demme
Stati Uniti
2008, 116'
DUI: 21 novembre 2008
Sony
Drammatico