Una Bologna inedita, lontana dalla solarità godereccia e grassa, in cui
ci si scorda dei portici cosce rassicuranti e materni di gucciniana
memoria: un città "estremamente cinematografica" secondo le parole del
regista, che si lancia in un progetto sperimentale, solo in parte a
nostro avviso riuscito. Non è solo la scelta spiazzante di nuovi occhi
coi quali guardare al capoluogo emiliano,con l'occhio della camera che
indugia sullo squallore grigio delle periferie, degli interni
asfissianti, su San Petronio avvolto da una nebbia sinistra, i portici
che diventano tunnel che lasciano allo sguardo solo uno scorcio di
cielo, che chiudono e imprigionano e non cullano più. E' anche la scelta
di girare in HD, cioè in digitale, per tentare nuove vie al di là della
pellicola. E' la scelta di una tecnica narrativa che strizza l'occhio ai
noir americani e francesi degli anni settanta, con un intreccio
costruito su una serie di indizi che chiamano lo spettatore ad essere
parte integrante della costruzione di un racconto
che pian piano si dipana e si chiarisce. E'la scelta, ancora, di una
protagonista femminile, per il regista italiano che forse con più
convinzione ha celebrato con occhio devoto e nostalgico l'amicizia
declinata al maschile, quella nella quale le donne intervengono come
momento di rottura degli equilibri.
Giorgia lavora col padre in una piccola agenzia investigativa ha passato
la trentina, vive col suo gatto e aggredisce il mondo a muso duro,
chiusa in un corpo fragile e nei suoi giubbotti di pelle da dura e in un
passato impastato del dolore del suicidio della sorella Ada. Quando le
viene recapitato uno scatolone pieno di videocassette in cui Ada si
racconta facendo emergere particolari sconosciuti, Giorgia usa il suo
fiuto di investigatrice per rimettere assieme i pezzi del puzzle e
tentare di trovare un perchè a quella morte.
Un film sul passato, sul racconto, sulla verità del racconto e del
passato, se ogni sguardo inevitabilmente falsa e storpia, se le
prospettive, le angolature attraverso le quali guardare ad esso- sia
esso passato personale o storico, individuale o sociale- sono infinite,
se lo spostamento o l'occultamento di un solo pezzo può stravolgere il
disegno. Di fronte al passato si può scegliere di chiudere gli occhi, di
reinventarsi, di optare per un tentativo di rinascita, di ritorno a uno
stato di verginità, impossibile però a realizzarsi se il passato non è
una scatola chiusa, ma il cuore stesso del nostro essere, il percorso
compiuto in ogni singolo istante presente che porta ad essere ciò che si
è. E di fronte al dolore del passato scegliere di non chiudere gli occhi
non vuol dire rimanere in esso invischiati e immobilizzati, ma fare i
conti coi propri spettri, avere il coraggio di guardare per poi
continuare, comunque e nonostante tutto, a vivere.
Quo vadis, baby? non è un film pienamente riuscito: un po' sontate
alcune rivelazioni, colpi di scena intuibili in realtà sin dal
principio. Splendida però la fotografia, tutta giocata su toni scuri e
desolanti, e brava la protagonista Angela Baraldi, che già avevamo visto
e ammirato in "Come due coccodrilli". E la scelta azzardata dell'uscita
estiva non aiuterà certo, supponiamo, in termini di ritorno di pubblico.
Un esperimento, riuscito solo a metà.
Voto: 24/30
30:05:2005 |