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Roberto Faenza è un autore. Lo è per propria
scelta e per attribuzione. Per scelta perché le sue storie non sono mai
“esteriori”, non si accontentano, cioè, dei propri caratteri narrativi,
ma sono spesso morali in senso ampio, tanto tese verso un significato
più profondo da risultare a volte forzatamente centripete (è il caso del
penultimo PRENDIMI L'ANIMA). Per attribuzione perché si è voluto vedere
in Roberto Faenza l'autore libero e autarchico che avrebbe contribuito
alla sempre imminente resurrezione del cinema italiano, attribuendo ad
un regista estremamente dotato responsabilità che davvero non gli
competevano né tanto meno gli competono oggi. Con ALLA LUCE DEL SOLE,
film senza dubbio maturo che conserva nel bene e nel male
l'inconfondibile poetica del proprio autore, le cose non cambiano di
molto. Nel personaggio di Puglisi, prete coraggioso ed intelligente
ucciso dalla mafia durante il periodo delle grandi stragi all'inizio
dello scorso decennio, si ritrovano i caratteri di universalità che
erano stati del Marcello Mastroianni alias Pereira, quasi che i
personaggi di Faenza portassero tutti un fardello molto più pesante
della propria, già ingombrante, umanità. Già, perché, e di questo va
dato atto al regista, l'intreccio tra l'uomo ed il personaggio (inteso,
quest'ultimo, come figura che palesa la natura morale dell'opera) è
spesso indistricabile, ordito con tanta cura da risultare praticamente
perfetto. Aiuta avere a disposizione un attore come Zingaretti,
straordinariamente comunicativo ed umano in un'interpretazione che
tenta, riuscendoci quasi sempre, di evitare i tranelli della retorica.
D'altra parte, rimane in Faenza la tendenza a procedere a volte per
stereotipi, a stilizzare eccessivamente situazioni che necessiterebbero
di sfumature più delicate. Persiane che si chiudono omertose, suore che
suonano la chitarra, ragazzini anche troppo consapevoli che fuggono da
una famiglia in odore di mafia; forzature che in un film che cerca
nell'umanità dei protagonisti la propria ragione di esistenza sono
dolorose e non necessarie. Se nell'insieme l'impianto narrativo funziona
a dovere e Faenza si dimostra in grado di avvincere lo spettatore senza
dover ricorrere ai meccanismi del thriller, sono alcune isolate, poche
in verità, sequenze a svelare la povertà della caratterizzazione dei
personaggi minori; le suore, in particolare, appaiono disegnate con mano
imprecisa, quasi fossero caratteri da commedia a cui viene affidata una
maldestra funzione di sdrammatizzazione. Esiste, però, nel film di
Faenza un nucleo ribollente e positivo, costituito soprattutto dalla
recitazione straordinaria dei bambini del quartiere Brancaccio e da una
volontà assolutamente limpida di fuggire la retorica sulla mafia e
raccontare con partecipazione la storia di un uomo. Voto: 25/30 09:02:2005 |
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