Il film tratta di un mistero la cui soluzione
sta in un non meglio identificabile luogo tra le certezze della matematica e
i cambiamenti di prospettiva dell’esperienza umana, e ha a che fare con
valori intangibili che sono difficili da verificare: la fiducia, l’amore e
la sanità.
Stando alle dichiarazioni dello stesso regista,
Proof, nel suo senso
primario, si riferisce a una formulazione matematica in cui una ‘particolare
ipotesi deve essere provata da un processo di deduzione matematica’.
Proof pone questo assunto
teoretico di fronte al mondo dell’umana esperienza, dove non ci sono
certezze da provare, quantità da misurare, dove la verità non si dà se non
in quanto soggettiva, relativa, definibile solamente contestualmente
attraverso la dialettica dell’interazione e dell’esperienza.
Proof è la storia di una
giovane donna, Catherine (Paltrow) schiacciata dal passato di un padre (Hopkins)
geniale e allo stesso tempo pazzo, e angosciata da un futuro di identità
incerta. La sua è un’identità minacciata dall’osmosi, dove non si riesce a
definire un limite tra ereditarietà di figlia e individualità in quanto
soggetto.
La verità che Catherine sta cercando, sta nella misura in cui ha ereditato
dal padre genio e follia, nella misura in cui quello che fa è prodotto suo o
del padre, nella misura in cui ha diritto a un’esistenza e a un destino di
persona autonoma.
In questo senso la portata del film va oltre la favola sul genio, il tema
della malattia, andando a riguardare i presupposti stessi del soggetto e
trattando con un certo tatto e realismo la complessità dei rapporti
familiari. In questo senso si distingue dall’essere una versione al
femminile del recente film di Ron Howard. Ma l’utilizzo di canovacci non
troppo originali, il registro che pur evitando il patetismo comunque si
dimena tra il melanconico e il sentimentale, senza d’altro canto spingersi
nemmeno in questo senso, mancando di effetti emotivi di particolare
intensità, non ne fanno un capolavoro. L’impressione che si ha uscendo dalla
sala è quella di un vorrei ma non posso, di un film che sfrutta un tipo di
tematica che il pubblico delle sale ha già assaggiato e dimostrato di
apprezzare, ma che per evitare l’americanata ad effetto si sia mantenuto su
uno stile indefinito, di scarsa presa emotiva, che manca di incisività.
Voto: 25/30
09:09:2005
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