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VENEZIA.66
ONCE UPON A TIME PROLETARIAN: 12 TALES OF A COUNTRY di Xiaolu Guo Cina 2009, 74'
Orizzonti
28/30 |
L’ennesimo documentario sulla Cina postmarxista? Sì, ma con
un’anima. L’anima di un’artista che sa, vede e soffre, l’anima di una Cina
che è cambiata così velocemente da risultare quasi irriconoscibile a chi la
conosce fin nel profondo. Un documentario con un’anima e con un carattere,
quello apparentemente mite ma sorprendentemente incisivo della sua regista e
della gente che ritrae. Nel bel mezzo di questa corsa, Xiaolu si volta indietro e getta un occhio su ciò che è stato perduto: l’identità. Annebbiati da nuovi ritmi, nuovi valori, si finisce col perdere il contatto con sé stessi e con la propria terra, con le proprie origini, e nella fretta di sbarazzarsi di un passato scomodo, l’identità si annichilisce, depredata della sua storia, svuotata delle proprie radici. La Cina imperiale e la rivoluzione culturale sono episodi così distanti dai pensieri delle nuove generazioni, quasi si trattasse della storia di un’altro Paese, perché quella della loro Cina si apre sotto la fiamma della fiaccola olimpica 2008, i fuochi d’artificio e il riconoscimento mondiale.
è così che
l’obiettivo ritrae Pechino nel 2009, nel suo salto ad un futuro che non ha
più nessun legame col passato, come ci trasmette la sequenza del giovane
lavauto che afferma di non credere più in nessuno, se non in se stesso,
poiché convinto di poter incarnare in sé le potenzialità di qualunque idolo
reale. In un grigio e umido piazzale di autobus, una signora confida alla
telecamera di non provare più sentimenti e di vivere pensando solo al suo
lavoro, peraltro molto poco gratificante. La sorpresa sta proprio in questo
non essere una mera intervista, ma nell’essere una sorta di rivelazione che
la donna matura in piena autonomia, alleggerita dal peso pressante e
innaturale dell’obiettivo, che invece si allontana da lei per andare a
ritrarre il suo ambiente, il luogo che le appartiene, una tecnica che riesce
a trasmette più di tutte quelle parole mancate. La voce dei personaggi, la
voce della loro terra. Una scelta coraggiosa per un documentario, che
rischia spesso di perdere l’attenzione dello spettatore nei lunghi silenzi
di riflessione e nelle inquadrature di paesaggi brulli e troppo veri, troppo
lontani dai ritmi incalzanti e ben costruiti di un film-documentario alla
Michael Moore. 12:09:2009 |
66.ma
mostra Venezia, 02/12 settembre 2009
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