VENEZIA.66

 

PRINCE OF TEARS

di Yonfan

Taiwan-Hong Kong/Cina 2009, 120'

 

In Concorso

 

28/30

Yonfan riorganizza e imbelletta le sue memorie d’infanzia in un melodramma estetico sugli anni del Terrore bianco a Taiwan: sono gli anni Cinquanta e l’allora isola di Formosa è intrisa di un’isteria anticomunista, che a conti fatti fa paura quanto il regime del continente. Chi è riuscito a fuggire dalla Cina, vive nella tranquillità surreale di un limbo che rischia di tramutarsi in inferno per un nonnulla: un sospetto, una parola di troppo, apprezzare la musica sbagliata, dipingere in un luogo non consentito, possono rivelarsi letali. E infatti a perdere la vita per queste ragioni sono circa tremila, ottomila ad essere solo incarcerati. L’esistenza di Ping, Sun e le loro due figliolette viene così contestualizzata storicamente. Il susseguirsi delle loro giornate viene bruscamente interrotto dall’accusa ingiusta di tradimento, a carico di entrambi i genitori. I meccanismi che guidano la tragedia sono invisibili agli occhi delle due bimbe, a maggior ragione vittime innocenti, che senza saperselo spiegare vedono annientarsi attorno a loro gli affetti di genitori, insegnanti e conoscenti, risucchiati dal vortice del folle fanatismo di una, purtroppo, reale caccia alle streghe.
La narrazione ha gli occhi di quelle bambine, che sono gli occhi della memoria di Yonfan, e forse lo sguardo trasognato dell’infanzia finisce per plagiare i colori e gli umori di quei momenti drammatici: tutto è perfezione e bellezza, la polvere delle strade di campagna non intacca i qipao in seta delle impeccabili mogli e madri, né mai si è visto prato più verde o cielo più azzurro. Ma come il regista stesso ha affermato, si tratta della “mia versione artistica della mia vita infantile”, e l’arte di Yonfan è di per sé estetica, raffinata e sontuosa. La vicenda, di per sé lineare, viene imbevuta di amore, compassione e tradimento, sentimenti poi amplificati a toni più solenni attraverso una narrazione magniloquente ed effetti sonori a calcare ogni momento di pathos.
Il finale riscatta in parte quanto si dava ormai per perso: le immagini smettono di fingersi troppo realistiche, i fatti dribblano una voice-off razionale e si lascia spazio all’onorico, in cui poter trovare conforto dal senso di colpa e da una realtà che fa troppo male.
 

12:09:2009

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Venezia, 02/12 settembre 2009